Parlare di Globalizzazione oggi è di moda. Per alcuni, la Società globalizzata è immagine di un mondo in cui essere “tutti uguali” significa appiattire le proprie differenze culturali, morali, religiose ed economiche asservendole al modello occidentale. Per altri Globalizzazione dovrebbe essere sinonimo d’identiche possibilità economiche e diritti politici, nel rispetto dell’individuo e delle differenze culturali, religiose e morali.
A questo punto: quale rapporto c’è tra Arte e Globalizzazione? E’ proprio su questo rapporto che si basa la mostra NOI.
Gli artisti che hanno partecipato a questa mostra provengono da luoghi diversi e sono testimoni di un orizzonte culturale che sicuramente influenza le loro produzioni. Ognuno di loro ha avuto a disposizione, come base creativa, una sagoma umana, di circa 2 metri e mezzo di altezza, da interpretare in assoluta libertà con la sola condizione di lasciare ben riconoscibile il profilo umano.
La sagoma utilizzata da un artista del Nord Europa, ci mostra un universo emozionale certamente diverso da quella interpretata da un artista orientale: Irmelin Slotefeld (Norvegia) ha ricoperto la sua sagoma di verdissima erba sintetica, forse augurandosi un mondo in cui non siano persi di vista i valori ambientali, o forse perché ha voluto dare un’immagine della sua Terra. Setyo Mardiyantoro</b< (Indonesia) ha dipinto la sagoma con i tipici colori dalla sua Terra, quelli che si vedono anche sulle stoffe e sulle tele del suo Paese: i colori del paesaggio e dei tramonti indonesiani. Qui Yong (Cina) che ha dipinto con colori forti, volti e simboli della sua terra natia avvicinandoci in modo più caldo e deciso alla sempre misteriosa e lontana Cina.
Emile Scheffer (Francia) ha immaginato il suo Uomo con un doppio volto con pagine di un elenco telefonico al posto della pelle. Suzanne Ristow (Germania) ha unicamente ricoperto la sagome con un drappo rosso sangue; Naya Lopez Muro (Argentina) ha rappresentato gli organi interni della sagoma-uomo come coperchi di bidoni tenuti al loro posto da mollette di legno…
Tra gli italiani: Michele Ciardiello ha svuotato la sagoma e l’ ha resa gravida di un enorme uovo di filo spinato scrivendo intorno ai suoi contorni un’unica parola ripetuta più volte: “COVA”; Federico Del Vecchio ha inserito nella “sua” sagoma un pollo di gomma e un joystick (forse due elementi che contraddistinguono la “manovrabilità” della natura umana…); Mario Persico, rifacendosi all’arte di contestazione italiana degli anni ’70, ha ricoperto la sua sagoma con un collage di parole ed immagini descrittive della funzione dell’artista nella società odierna.
Ognuno degli artisti ha rappresentato, evidentemente, l’importanza del pensare a un quadro “globale” come ad un intreccio tra diversità che nel loro insieme danno forma concreta all’idea di un mondo libero in cui la possibilità di espressione sia un bene ed un valore per tutti.
maria rita petitti
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