Bunker#01, Bunker#71, Bunker#80… E così via fino all’ottantottesimo disegno o piccolo acrilico su tela o legno, per la prima personale partenopea di Stefania Galegati (Bagnacavallo, Ravenna, 1973) nella sede “antica” della galleria T293, quella di via Tribunali.
Filo rosso dipanato lungo i fogli di questa considerevole serie è il soggetto: i bunker costruiti durante la seconda guerra mondiale, sparsi un po’ in tutta l’Europa, dalla Normandia alla Polonia (“qualcuno è segnalato anche negli Stati Uniti”, ci informa la Galegati), indici di un fenomeno che attira l’artista emiliana da un paio d’anni.
Durante i suoi spostamenti tra l’Italia e New York, dove attualmente vive, queste opere hanno preso forma e consistenza nelle pagine di un immaginario moleskine da viaggio come delle “architetture folli, sorte in mezzo alla natura, delle quali resta l’energia anche se non ci appartengono più”.
Sulle pareti della galleria appaiono così, seguendo uno strutturato disordine, due volti sorridenti in primo piano, corredati di zainetti sulle spalle e t-shirt bianche per lunghe camminate, dietro di loro un cubo grigio con un’unica fenditura per far spazio alla canna di un cannone. Segue una bambina che sorride dentro il suo vestitino rosso e, al di sopra della piccola figura, l’edificio non più minaccioso del rifugio blindato, sullo sfondo di un cielo diventato improvvisamente rosso – arancione – giallo: colori caldi mescolati al nero, che enfatizzano l’isolamento spaziale in cui li ha confinati l’artista.
I toni cupi del blu e del verde e ancora le tempere e le penne nere, mimetizzano nel paesaggio queste costruzioni grigie, che sono divenute per questa categoria (se non altro “originale”) di turisti, dei simpatici sostituiti della Fontana di Trevi o della Tour Eiffel, monumenti dell’epoca moderna. Da fotografare piuttosto che da utilizzare come spunto da cui trarre una riflessione, magari nel veloce bzit dello scatto della digitale.
Sorge quindi il contrasto tra il bunker -considerato nella sua doppia valenza di architettura in uno spazio e nel significato storico legato al conflitto mondiale– e l’assuefazione dei viaggiatori che “ci passano accanto –continua la Galegati- senza rendersi conto di cosa hanno davanti”.
I volti scarnificati che incorniciano le opere, alcune talmente piccole da ricordare le dimensioni di una cartolina o di un segnalibro, sembrano avvolti nell’aria resa grigia dalle polveri esplose. In sottofondo risuona ancora l’eco degli spari dei cannoni, mentre curiosamente il dipinto che ha dato l’avvio alla serie non è presente: “È stato frutto di uno scambio con un’amica artista al momento di partire”.
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però...mica male. sembra berutti. complimenti!
complimentoni, ma che bei quadrettini Perchè non si limita con le sue inutili istallazioni anziche cimentarsi con un mezzo che non sa nemmeno utilizzare...........Possibile che nessuno ha il coraggio di dirglielo e in italia è permesso che un artista seguita da buone galleria faccia un lavoro talmente superficiale e inutile?????????
che inquinamento...