Immersi nel corso del divenire, non è inusuale domandarsi cosa è reale. Proprio della ricerca contemporanea è chiedersi se sia possibile la conoscenza, con una propedeutica indagine sui meccanismi percettivi.
Padraig Timoney (Derry, 1968; vive a Liverpool) agisce su questi binari, ma non vi resta incastrato. La sua traiettoria è volta all’analisi del mondo, come insieme strutturale di segni. Ma il suo modo di procedere – per associazioni, metonimie e inattesi strappi logici – arricchisce il percorso di strumenti subconsci e del
soul – un termine a lui caro -, aprendo la strada all’intuito e a dinamiche conoscitive vicine più alla gnosi che a una cristallizzata deduzione.
Perciò si avverte nella sua arte la straniante sensazione di quando si ricorda un sogno, non riuscendo più a discernere il vero dall’onirico e a collocare il reale, o di quando si sperimenta un
déjà-vu. Timoney accerchia il reale, braccandolo inizialmente alla lontana come un predatore, lo costeggia con allusioni criptiche che sfidano a un’attribuzione di senso. Poi, d’un balzo, scatta in avanti con un inatteso particolare o una chiave di lettura successiva, che rivelano il significato e ribaltano di colpo la prospettiva del mondo, rivoltandolo come preda afferrata. E generando meraviglia.
Non stupore barocco, ma un improvviso cortocircuito che inserisce nell’automatico fluire quotidiano una frattura,
una fossa che risucchia il flusso percettivo verso il basso, riassorbendolo nel fiume sotterraneo della corrente di percezione inconscia. In un’improvvisa agnizione di come vi sia sempre stato un sottostante senso psichico. Come in
Plant life Ad, che riporta il pattern dei contenitori per riso alla fonte vegetale, accostandolo all’astrazione ingigantita di una pianta che, invece di luce solare, contiene l’abbacinante sfondo: la subitanea coscientizzazione di ciò che già si sa.
Il senso profondo si svela anche con la levità dell’ironia, che evidenzia l’ingannevolezza del sensibile col bisonte-miniatura di
Bison horizon, palesamento dell’immaginario collettivo insito in un orizzonte americano e insieme amo che rivela all’occhio l’inavvertita rotazione dello scatto. Le apparenze del reale, riflesse letteralmente in
CU Mirror 2, a prima vista specchio invecchiato, sono contraddette dall’improvviso riconoscimento delle impercettibili ricerche sulla superficie, quasi da Pittura Pittura, e dalla concettualmente tautologica “marchiatura” col simbolo del rame.
Spinning sign costruisce la conoscenza su più livelli: la foto del lato di un cartellone su un ingranaggio girevole diviene a sua volta manifesto, estraendo il senso dell’
idea dell’oggetto, e al tempo stesso lo sconfessa, focalizzando la percezione sull’ambito stradale in cui era inserito e inducendo la straniante delocalizzazione del nuovo contesto, la galleria. Il sistema di riferimento muta il significato del segno anche in
Asgardn’all: le sovrapposizioni pittoriche inglobano opposti ambiti linguistici intorno al comune simbolo delle armi.
In trasparenza, dalla confusione semantica affiora il senso. Come nel
soul balena improvvisa la percezione del reale.
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che noia ragazzi...
luca rossi è luca vona
Smentisco categoricamente di essere Luca Rossi. Di norma firmo i commenti con il mio nome e cognome. Le poche volte che non l'ho fatto non ho mai utilizzato quello pseudonimo.