Lòrànd Hegyi, direttore del museo e curatore della mostra, si è posto molto al di sotto della figura dell’artista, evitando di prevaricare la libertà d’espressione con un tema vero e proprio, e accogliendo una costellazione progettuale capace di espandersi in modo globale. Con l’obiettivo, parallelo, di testimoniare la presenza, sempre più massiccia, di artisti provenienti dall’Est europeo. In questa prospettiva, ogni artista è stato libero di inventare dei veri e propri ambienti, capaci di dialogare con lo spazio museale e la sua collocazione al centro della città. L’occasione fa così riscoprire l’importanza dell’allestimento, curato personalmente dagli artisti stessi.
Questo il punto di partenza, ora resta da vedere se i presupposti non rimarranno solo sulla carta; se questo centro di documentazione sarà, come annunciato, un vivace nucleo di cultura artistica in contatto con tutte le tendenze avanzate dell’arte europea.
L’operato del direttore Hegyi si è risolto nella definizione di una metodologia della progettazione della mostra, che si è svolta come un’attività collettiva. Non una sala per ogni artista, ma la presenza simultanea di due o più opere nello stesso ambiente. E’ il caso di Gilbert & George che con The Giving Person, lavoro che dà il titolo alla mostra, rivestono le pareti della sala al centro della quale campeggia l’installazione di Jan Fabre.
L’artista belga ha giocato sul contrasto tra un’armatura lucente e il materiale naturale prodotto dalla corteccia dell’albero, come a stabilire una sorta di continuità biologica tra la natura e l’umano. Le sue opere hanno sempre una qualità percettiva/luminosa, generata in questo caso dal legno fatto a scaglie e dall’oro della corazza. Capostipite dell’Azionismo viennese, Hermann Nitsch ha ricreato una Wunderkammern, come una riserva di forze vitali, biologiche, animali marini (veri) e organi interni. Non la dimensione delle memorie smarrite, ma il mare profondo e ribollente dell’essere, da cui provengono le spinte dell’agire. Ilya Kabakov riflette invece sul carattere essenzialmente linguistico della ricerca: gli oggetti che fanno parte del suo ambiente sono meticolosamente ridipinti come dei quadri, metafora della mancanza di libertà di espressione sotto il regime socialista nella sua Unione Sovietica. Matthew McCaslin, Marina Abramovic e Bianco-Valente (soli rappresentanti della giovane arte italiana) sono gli unici artisti presenti con installazioni video, mezzo che non è stato particolarmente privilegiato dalla selezione curatoriale. L’unico fotografo invitato, il partenopeo Mimmo Jodice, privilegia la luce filtrata e mobilissima del mare mediterraneo che evoca L’Infinito del titolo. Cospicua la presenza della scultura, a testimoniare quanto il problema della forma sia indagato, sperimentato e assunto come principio del linguaggio in questi ultimi anni.
Dalle piccole figure inquietanti di Kiki Smith ai quadretti imbottiti di Victoria Civera. Dalle lettere di neon di Maurizio Nannucci, alle variopinte sculture di ceramica di Luigi Ontani in una sala da non perdere; dal busto di Mimmo Paladino all’installazione Il dono dell’artista di Michelangelo Pistoletto, opera che regala il sottotitolo alla mostra. Si avverte chiaramente come la realtà abbia perso attrattiva, trasformandosi in un puro dato, al quale si cerca di reagire attivamente, come per comunicare all’oggetto una vitalità perduta.
Su ogni piano ampie terrazze luminose fanno da sfondo e da cornice alle sale. I piani superiori presentano spazi articolati -che tradiscono la precedente destinazione a residenza privata- su cui si affacciano le rampe delle scale e le porte degli ascensori. Al terzo piano l’avanzatissimo laboratorio tecnologico, con sale di lettura, di consultazione e con la sala cinema. Unica nota dolente? Le didascalie che, sistemate con scarso discernimento sulle porte, tra una sala e l’altra, costringono chi sia interessato a leggerle a bloccare inevitabilmente il flusso dei visitatori.
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Effettivamente la mostra mi sembra valida e lontana dai soliti schemi. Bella veramente!
sono d'accordo: Ontani è davvero da non perdere!
In poche parole:
restauro dell'edificio: buono
Capacità museo: inadeguato a collettive di ampio respiro.
"The Giving Person": alcune presenze ottime per esempio: Ontani, Paladino, Sean Scully etc, altre del tutto ingiustificate: vedi i francesi Alberola e Garouste