Una pittura luminosa anima la sede napoletana, per la quale sono stati
impiegati pigmenti foto-luminescenti. Linee di luce catturano l’attenzione del
visitatore e lo coinvolgono nel percorso conoscitivo dello spazio, segnato, nel
suo dispiegarsi, da giochi lineari che esulano dalla casualità e rimandano a
particolari architettonici specifici quali spigoli, punti di congiunzione o di
tangenza tra volte e pareti, tra pareti e pavimentazione. Completano
l’installazione due esagoni irregolari sovrapposti, di grandezza differente,
l’uno con i vertici tangenti i lati dell’altro, che sembrano pervasi da una
forza dilatatoria centrifuga, latente, che ne favorisce l’espansione verso
punti precisi dello spazio.
Nella sede romana, invece, sono il pigmento arancione e la forma
perfetta del cerchio a dare luogo alla composizione. Una teoria di
circonferenze “sospese”, di diametro variabile, invita a scoprire lo spazio in
maniera divertita, evidenziando corrispondenze normalmente non percepibili da
una visione priva di guide geometriche.
Il punto di partenza del processo creativo è il luogo dove l’opera
sarà situata e da cui scaturiscono quelle suggestioni che l’artista riceve
attraverso una frequentazione dalle implicazioni cognitive ed empatiche. La sua
pittura non prevede l’uso di un supporto, più o meno tradizionale. L’idea è
proiettata direttamente su un quadro spaziale – che coincide con una o più
pareti, o membrature architettoniche, variamente articolate – e prende forma
dall’incontro della specificità bidimensionale del segno con la
tridimensionalità dello spazio. Lo scarto che si determina, tra l’una e l’altra
dimensione, crea un vuoto spaziale “abitabile” entro cui lo spettatore può, e
deve, deambulare per fruire pienamente dell’opera.
Osservati dall’interno, i segni pittorici appaiono deformati, al pari
di un’anamorfosi, frammentari, sconnessi, privi di una forma logica
riconoscibile, ma si ricompongono compiutamente quando il punto di vista
dell’osservatore torna a essere il centro di proiezione. Tale peculiarità mette
in risalto l’interesse di Varini per le tematiche legate alla pittura come
illusione e il ruolo strategico della percezione nel farsi e nella comprensione
dell’opera, configurandosi come un iter
progressivo di durata variabile che coinvolge lo spettatore da un punto di
vista esperienziale, nel segno di una “visione attiva”.
Il linguaggio utilizzato è quello geometrico, scevro da ogni
interpretazione simbolica. Forme e figure sono un vero e proprio alfabeto che
nella sua articolazione non altera lo spazio architettonico ma, al contrario,
lo esalta mettendone in rilievo particolari, corrispondenze, linee di forza che
corrono lungo le pareti, attraversano le arcate e lambiscono ritmicamente le
partiture murarie. Non senza una compiaciuta componente ludica.
anna saba didonato
mostra visitata
il 15-16 ottobre 2010
dal 6 ottobre al 10 dicembre 2010
Felice Varini
Studio Trisorio
Riviera di Chiaia, 215 (zona Chiaia) – 80121 Napoli
Orario: da lunedì a venerdì ore 10-13.30 e 16-19.30; sabato ore
10-13.30
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 081414306; info@studiotrisorio.com;
www.studiotrisorio.com
dall’otto ottobre al 10 dicembre 2010
Felice Varini
Studio Trisorio
Vicolo delle Vacche, 12 (zona piazza Navona) – 00186 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 16-20
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0668136189; roma@studiotrisorio.com;
www.studiotrisorio.com
[exibart]
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