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Fino al 10.XII.2016 | Wolfgang Laib | Galleria Alfonso Artiaco, Napoli

di - 1 Dicembre 2016
I lavori di Laib stanno negli spazi di piazzetta Nilo come organismi in cerca di un luogo tranquillo, decisi infine a fermarsi e apparire tra le stanze soleggiate della galleria che incredibilmente lasciano fuori tutto il rumore della città.
Si dispongono al centro del pavimento con una certa sapienza, fatta di composizioni simmetriche, composizioni curate e discrete nello spazio, colori tenui, materiali semplici ma immediatamente suggestivi. Ottone, riso, marmo, polline, cera.
La cifra poetica di Wolfgang Laib si forgia di soluzioni ricercate e riconoscibili, la cui leggibilità ha qualcosa a che fare con il nostro sempre più insistente tentativo di assorbire un certo immaginario delle culture orientali, da quella zen a quella buddista, come a compensare una carenza spirituale troppo a lungo ignorata. Sembra allora impossibile trascurare la nostra propensione occidentale a nutrirci di un mondo altro per comprendere l’invito dei lavori di Laib, pronti ad assecondare e allo stesso tempo verificare questa possibilità.
Non a caso, in un’intervista rilasciata per il MoMA, l’artista racconta di amare l’idea di concepire le sue opere in completa solitudine, tra piccoli villaggi dell’India e della Germania, ma solo per poterle  poi esporre nei musei delle grandi città.
Ad accogliere i visitatori nella prima sala le barche in ottone, sorprese a galleggiare tra piccole onde di riso – evocazione elementare del viaggio come nutrimento – codificano subito le intenzioni dell’artista nei confronti di chi guarda: si viaggia e si contempla per raggiungere approdi spirituali nuovi. Allora l’oggetto artistico per astrazione diventa simbolo estatico e il risultato è un’accompagnata propensione all’umiltà, dell’opera e dello sguardo. Come se non bisognasse pretendere molto altro dall’arte dal momento in cui, nel rigore astrattista che rivela la sintetizzazione delle forme, essa si propone di arrivare all’essenza più semplice delle cose, nient’altro.


È la cosa più semplice che puoi guardare – ripete anche l’artista davanti ad uno dei suoi celebri quadrati di polline che occupa la stanza più grande e illuminata della galleria Artiaco. Sin dal 1977, Laib raccoglie manualmente il polline dalle piante, per poi stenderlo in forme geometriche di diverse dimensioni. Il polline è il principio potenziale della natura, energia vitale impalpabile. Non dipingo fiori, non ho bisogno di dipingere fiori – aggiunge – quello del polline è  un lavoro molto astratto, mi piace la concentrazione che viene da questo lavoro.
Gli ingredienti ci sono tutti: alle menti analitiche un esempio formalmente riuscito di astrazione, al pubblico esteta un’istallazione immersiva ed elegante, meditativa quanto basta per goderne senza turbamenti.
Come succede spesso nell’arte contemporanea, Pollen è un’installazione che racconta e incarna in sé la sua creazione, questa pratica lenta e metodica di raccogliere e poi di nuovo seminare. Un procedimento la cui semplicità ne garantisce l’impatto scenico: una distesa di giallo su cui posare lo sguardo. Il colore del polline cambia per ogni lavoro in base alla pianta di origine, ma è sempre un colore talmente puro da sembrare astratto.
A chiudere la mostra, infine, quattro sculture dalla forma di ziggurat di cera, altro elemento distintivo dell’artista.  Se il quadrato di polline fa banalmente sospirare il nome di Rothko, le sculture in cera sembrano invece emergere da composizioni morandiane. Ma in questo caso, sono rimandi più precisi a civiltà remote come quelle della Mesopotamia, la cui grazia estetica racconta di una dimensione spirituale e meditativa, ancora una volta tanto lontana quanto suggestiva per noi. Laib raccoglie e racchiude in oggetti un principio – come un memento mori – la possibile connessione tra reale e spirituale. Da citare tra i lavori più recenti ed interessanti i tre disegni su carta, le uniche opere appese alla parete dell’intera mostra. Portate sulla superficie bianca, le idee di Laib sembrano rivelarsi qui a chi ha la pazienza di cercarle. Tra la distesa lattiginosa, infatti, soltanto a guardar bene si scorgono pochi sparuti segni, tracce come di un paesaggio lunare, mentale, intimo. Oltre le deboli immagini a matita, nell’opera centrale compare un breve testo che proviene dalle Upaniṣad vediche, raccolte di testi filosofici indiani scritti in sanscrito, la cui traduzione e interpretazione è compito arduo da millenni. Laib sceglie e cita la versione del filosofo Radhakrishnan: ‘What is the goal of this world?’ He replied, ‘Space, for all these creatures are produced from space. They return back into space. For space is greater than these. Space is the final goal.’ (The Principal Upanisads, 1953).
Roberta Palma
Mostra visitata il 29 ottobre 2016
Wolfgang Laib
Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
Piazzetta Nilo 7, 80134 Napoli
Info: +39 081 4976072, info@alfonsoartiaco.com, www.alfonsoartiaco.com

Nata ad Aversa nel 1988 si è specializzata in arte contemporanea all’Università La Sapienza di Roma. Ha collaborato con diverse realtà di Roma e Milano, dalle gallerie al no-profit. Dal 2013 al 2015 fa parte del collettivo internazionale 7x8curators. Attualmente parte di un progetto di ricerca didattica presso il Mart di Rovereto, collabora con Exibart dal 2014.

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