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fino al 12.I.2011 Darren Almond / Marco Neri Napoli, Alfonso Artiaco
napoli
Sfondamento pittorico, inseguendo la verità oltre il quadro. E giù nelle viscere della pena e fatica del vivere, per estrarre l’oro della consapevolezza. Da Artiaco, va in scena l’Umana Commedia...
terzo doppio appuntamento da Artiaco. Nel project space, la pittura di Marco Neri (Forlì, 1968; vive e lavora
tra Torriana e Ravenna) dà a intendere la levità della rêverie nella plausibilità di architetture
immaginarie che sfondano, con le mura, anche le barriere emotive, costringendo
ad andare “oltre la parete” visiva e
psichica.
Ma
l’immediatezza della pennellata, disposta anche ad accogliere l’imprevisto
padroneggiandolo come nuova ispirazione, come quando tramuta una sgocciolatura
in figura, non inganni: il costruttivismo formale testimonia una rigorosa
organizzazione spaziale che elude i confini tra astrazione e figurazione. E
anche l’interrogazione psicologica si rivela meno “morbida” e più inquietante
del previsto.
Il
ponderoso diviene greve nel main, con
Darren Almond (Wigan, 1971; vive a Londra). Dal cielo alla terra,
dall’etereo e dal sublime tecnologico alla carne, al pesante, alla materia
crudele. Almond abbandona i Fullmoon del
2007 per scendere nell’Inferno dantesco dei minatori di zolfo di Giava.
Immutata è la pulizia del linguaggio, che anzi, come in gergo musicale, scende
ancora più “a terra”, verso un’essenzialità densamente strutturata che mira a
costruire pilastri emotivi e visivi per la comprensione.
Nel
video Bearing, insostenibile è lo
sguardo della camera, che segue l’operaio nel lavoro disumano e fatale, tra
vapori mefitici, pesi insopportabili e passerelle sul vuoto. Il primissimo
piano stringe empatico ma mai pietistico sul suo affanno e respiro, sui mugolii
di fatica, sul suo stringere un cencio tra i denti come una bestia da soma il
morso. Interminabili, intollerabili i 35 minuti di filmato in cui il tempo,
sospeso e contraddetto – come già nei paradossali “chiari di luna” diurni del
passato – si ferma seguendo il cammino dell’uomo senza altra azione. Intorno, a
ricordare e stigmatizzare la pena degli operai di ogni epoca e settore, la
dolorosa infilata e processione di targhe recitanti “work”, con riferimento alla tradizione ferroviaria di battezzare i
convogli con insegne.
Progressiva
e alchemica è la redenzione del loro materiale che diventa, da pesante plumbeo
respingente la luce, bianco smaltato e infine verde lucido a lettere dorate,
così come l’oro di zolfo nella sporta del minatore viene dal tormento della sua
carne, per giungere al paradiso sacro di Dante, mistico dell’alchimia e pagano
dell’economia. Il ritmico alternarsi delle placche induce dinamismo e una
fruizione dilatata nel tempo, contravvenendone l’apparente fissità scultorea e
dialogando col lento modificarsi del video, di cui è anche chiave concettuale.
L’uomo
si ferma per dolenti ma brevissimi istanti a riposare, appena le forze per il
respiro; e il triangolo di lucente cielo e mare sullo sfondo diviene sempre più
irraggiungibile, come una beffa alle sue spalle cui il lavoratore non si volge
mai per non lasciarsi offendere.
È
davvero così che puniti senza colpa devono “redimere” il loro vivere e la
pagnotta quotidiana? Deve necessariamente essere “as it is”? Indifferente e ottuso, l’arrogante potere passeggia
compiaciuto fra le targhe di ignominia e le scambia per celebrazione.
Almond
da Artiaco nel 2007
A
Milano per la Fondazione Trussardi
mostra visitata il 12 novembre
2010
dal 12 novembre 2010 al 12 gennaio 2011
Darren Almond – As it is
Marco
Neri – Underworld
Galleria Alfonso Artiaco
Piazza dei Martiri, 58 (zona Chiaia) – 80121 Napoli
Orario: da lunedì a sabato ore 10-13.30 e 16-20
Ingresso libero
Info: tel. + 39 0814976072; fax +39 08119360164; info@alfonsoartiaco.com; www.alfonsoartiaco.com
[exibart]
Artiaco basta dai. Ma come ancora Marco Neri? Non ce l’ha mai fatta e non a caso. Darren Almond inizia a definirsi sempre di più come un ex, oggi è certamente uno sfigato.
Siamo tutti sfigati, sarebbe l’ora che tanti cosiddetti “artisti” si astenessero a produrre ovvietà. Non hanno capito niente del movimento dadaista?
rossi- Riporto un feedback di un operatore di “successo” del sistema, relativo alla mostra I’m not Roberta (Whitney Museum e diverse sedi):
“brava. non hai bisogno che te lo dica io, certo.
l’intervento funziona a meraviglia. anzi se posso lo importero’ in un progetto, proprio a ny, forse. cosi’ lo destabilizziamo un altro po’.” […]
non male.
“DESTABILIZZARE”
Non ci si aspetta forse questo da un artista? La critica, la sottigliezza, l’efficacia _ anche se paradossalmente, ineffabilmente, contestataria_?
Non è questa l’impressione di un lettore di whitehouse?
“sì, rossi è bravo, fa progetti fighissimi [sic], anche se lui non è un artista tradizionale
va oltre…
oltre…”
Il blog è oramai una sorta di autocelebrativo portfolio on line: i dialoghi, la “fenomenologia di”, il riferirsi a …, sono tutte scontate referenze di un prodotto/rossi che non riesce a scardinare le consuete ed omologanti coordinate autoreferenziali del sistema di cui ci si vorrebbe complementare.
Tutto tranne la sparizione dell’artista, lo sprofondare nel…
Quindi, forse, si può affermare che rossi sia una sorta di volenteroso artigiano della “critica”, una critica sterile, livellata ed interscambiabile con quella di mille altri omologhi contemporanei, una critica in cui si remixano tatticismi anni novanta (anonimato/nome multiplo/uso media-giornalismo) con intuizioni anni sessanta (frammentazione dell’opera nell’informazione + sincronizzazione ruolo artista/curatore/critico/giornalista, ecc), il tutto confezionato con una rassicurante ambiguità informativa che permette a rossi di svincolarsi prevedibilmente da un ambito di confronto critico (qui cattelan).
non è un caso che il rossi pensiero appaia in uno spazio di flashart italia intitolato: “opinioni”. Il mese scorso rossi, questo ago, avanti il prossimo:
Opinioni, critiche…: “le opinioni sono come le palle, ognuno ha le sue”
(circa i lavori di rossi (misteriosi contenuti, oscuri accadimenti in …, fantomatiche email, ecc.):
“Chi conosce in profondità si sforza d’essere chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla moltitudine si sforza d’essere oscuro”)
rossi- il lavoro di Luca Rossi legge semplicemente il presente, offrendo per ogni progetto più livelli di lettura, ognuno perfettamente sostenibile.-
molteplici livelli di lettura?
quindi?
allora meglio la serie lost
(o gli originali
artisti
anni ’60 e ’90 di cui rossi è una scolorita ma chiassosa copia)
rossi è l’ennesimo specchio deformante di un “sistema”:
whitehouse è l’ennesima operazione che non regge al di fuori di una certo sistema autoreferenziale (il che è palese nell’attaccamento di rossi alla propria maschera (pseudonimo/blog)e alla propria incapacità di svincolarsi dalla produzione di contenuti disinnescati, rassicuranti e prevedibilmente parassitaria _ambiguità poppeggiante, aggressività (para)giornalistica alla libero, …_
nome multiplo/anonimato (blissett)
+ critica “sistema”: livellamento/omologazione (grimaldi)
+ anedottica/lavori sul/col/nel “sistema” (zuffi)
+ rapporto magazine/uso ambiguo-pop dei media (cattelan, Jacopo dell., ecc.)
+ frammentazione dell’opera nell’informazione (fine anni ’60)
+ blog vetrina portfolio + stalking in forum/blog (boresta, pesce a fore, jacopo dell. ecc.)
+ enigmatica o grossolana infiltrazione in spazi espositivi, ecc. (a. c, brener, bansky.)
+ uso curatore come alter ego _cavalucci_ (cattelan_gioni)
+ superamento del ruolo tradizionale dell’artista (quasi tutti)
+ sottrazione/sparizione (ube. _anni ’60_, bas jan ader,ecc.) (- (meno)“morsiani?”)
+ ecc.
=
luca rossi
Una grande intuizione di Artiaco invece quella di recuperare Marco Neri, vittima dell’ostracismo imposto alla pittura da certa pseudocritica lombarda insulsa ed esterofila, incapace di proporre visioni credibili proprie. Neri resta il maggiore pittore italiano degli ultimi 20 anni, Manzelli compresa e nonostante Bonami. Bravo Artiaco che mostra di crederci ancora nell’Italia, nonostante tutto.