A una prima, superficiale lettura ciò che colpisce di più
nella recente produzione di
Christian Breed (New York, 1981; vive a Roma) non
è tanto la fattura delle sue ultime tele, ma la sterzata impetuosa che lo ha
portato ad abbandonare la figurazione in favore di un astrattismo retró eppure
“anticitazionista”. Un cambiamento netto che, allo stesso tempo,
seduce e interroga estimatori e mecenati.
Approdato cinque anni fa in Italia, il giovane americano
ha compiuto il proprio “Grand Tour”, coronato da una lunga permanenza
a Roma. Se non avesse deciso di restare così lungo in Italia, Breed – affascinato
tanto dall’antico quanto dal vecchio – avrebbe continuato ingenuamente a girare
in lungo e in largo l’Europa a caccia di vedute pittoresche.
Definito pericolosamente da Duccio Trombadori un erede
delle lezione percettiva di
Edward Hopper in occasione di un’esposizione a Cremona, B
reed ha
cominciato a demolire il proprio castello figurativo già da un paio d’anni,
preservando soltanto quella sensazione di liquidità che ricopriva, come una
patina deformante, i suoi scorci vivaci della Garbatella e degli altri
quartieri della Capitale.
I dipinti del ciclo
Ápeiron presenti in galleria mostrano che
la sua pittura è
ancora liquida, fluida come il gesto che l’ha originata. Negli ultimi esemplari
della serie, Breed ha optato per un utilizzo più espressivo delle vernici, con
particolare riferimento alle colate di bianco che ricoprono senza soluzione di
continuità gli altri segni pittorici.
Ma il bianco traslucido di Breed non agisce come un segno
di gomma che armonizza e ripulisce le trame colorate, ma piuttosto come un
principio di disorganizzazione grafica che aumenta il caos sulla tela: un
bianco batterico che moltiplica le potenzialità degli altri virus cromatici in
una flora intestinale astratta e suggestiva.
Una flora stratificata e rigogliosa che diventa, mediante
un processo mentale, il corrispettivo astratto del patrimonio archeologico e
storico di una città dov’è difficile costruire parcheggi per il timore di
ridurre in polvere gli strati seppelliti della sua civiltà. Se, come sottolinea
giustamente Marco Tonelli, Breed ha paura di essere collegato all’Action Painting,
il suo rapporto viscerale con i luoghi che ne hanno suggerito il gesto gli
permette di tenersi alla larga da una facile emulazione dei padri della pittura
americana moderna.
Resta comunque il fatto che la pittura
all-over intellettualizzante di Breed
sarebbe piaciuta di più a un Clement Greenberg piuttosto che a un Harold
Rosenberg.