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Rabbia, ira, collera, sono termini che esprimono sfumature di un tipo preciso di esperienza emotiva, per lo più aggressiva, scatenata dall’elaborazione di situazioni simili, dalla difesa del territorio alla presenza di ostacoli immaginari, passando per il risentimento verso determinate strutture sociali. Per molti antropologi, la rabbia è una reazione fondamentale per la trasmissione dei comportamenti, una causa primaria che interviene nella formazione del complesso sistema simbolico sviluppato dagli esseri umani.
Per Francesca Grilli (Bologna, 1978), la rabbia è un parola da scoprire, un campo semantico che apre nuovi universi, orientando i processi dell’interpretazione e dell’emozione, un’ipotesi plausibile e autonoma di consapevolezza, momento liberatorio nel quale le idee e le azioni coincidono, conducendo, fatalmente, a un esito sovversivo. Così, l’artista bolognese che studia il linguaggio della performance per ricercare il punto di contatto tra il corpo e il ricordo, ha compiuto un passaggio eccentrico in occasione della personale alla Galleria Umberto Di Marino e, proporzionando il ragionamento e la frenesia, ha assemblato un percorso espositivo percettivamente rigoroso nel quale tutti i materiali appaiono venati dalle screziature del concetto emotivo.
Su vinile, rame e carta, allora, si incidono i segni dell’irrazionale che, «compresso dalla nostra società, non trova punti di fuga», ha spiegato Grilli. La rabbia, lontana dal sentimento romantico del sublime artificiale, non si offre come rappresentazione di se stessa ma rivela il processo di sedimentazione sulle cose.
I suoni di un vulcano, di un ghiacciaio in implosione e di un tornado, stereotipi della preponderanza della natura, registrati su Terra, un disco enigma in pasta di vinile e meteoriti che può riprodurre solo casualmente le tre tracce – realizzato sulla scorta di un modello recuperato all’Istituto Centrale per i Beni sonori e Audiovisivi – più che sfondo sonoro della mostra, diventano espressione del lavorio incessante della materia sulla materia. Il pick-up percorre i solchi e, scavando nell’oggetto, rende visibili le vibrazioni sonore. Rimanendo sul livello di disciplina compositiva, l’intervento sulla superficie delle cose si manifesta anche in Gliese, serie di matrici calcografiche in rame, e Kepler, stampa calcografica su carta, in collaborazione con l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma. La bile, che, secondo Ippocrate di Coo, arrivando al cuore, faceva scaturire l’iracondia, e l’inchiostro, strumento garante della narrazione della storia e della continuità delle parole, sono gli agenti che intervengono sul rame, innescando reazioni imprevedibili, fuori da ogni controllo, macchie informi tra i riflessi del metallo che l’uomo usa da più tempo. Gliese 581 è il nome di una stella, nella costellazione della Bilancia, intorno alla quale orbitano tre pianeti. Nel 2007, le prime indagini stimarono che il più esterno di questi fosse abitabile, risultati smentiti, però, da rilevazioni successive. La citazione è esplicita anche nelle stampe su carta – Kepler è il nome del telescopio spaziale della Nasa – dove una sequenza di forme intricate descrive la composizione dei pianeti con condizioni compatibili alla vita terrestre.
Dalla visceralità biologica del liquido, alla imperturbabilità delle costellazioni, passando per l’impeto della natura, il codice della corrosione coinvolge prepotentemente tutti gli elementi e fa emergere le sue strutture, antiche quanto l’universo, che l’uomo interpreta come simboli e traduce in linguaggi. Una concatenazione di azione e ragione che rimanda alla casualità potenziale dei processi della conoscenza, dove il rapporto tra il pensiero e ciò che non può comprendere diventa vertigine dell’immaginazione.
Mario Francesco Simeone
Mostra visitata il 12 marzo
Dal 12 marzo al 12 maggio 2015
Francesca Grilli
Anger
Galleria Umberto Di Marino
Via Alabardieri 1, 80121 Napoli
Orari: lunedì – sabato ore 15.00 / 20.00, mattina su appuntamento