Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
06
ottobre 2009
fino al 12.X.2009 Francesco Clemente Napoli, Madre
napoli
Fine. Si chiude com’era (idealmente) iniziato il primo ciclo di grandi mostre del Madre. Che, dopo Kounellis e Nauman, Fabro e Rauschenberg, un po’ per gratitudine un po’ per scaramanzia torna ad essere... Clemente...
di Anita Pepe
Altro
che crisi del settimo anno. Correva il 2002 quando per Francesco Clemente (Napoli, 1952; vive a New York) si
aprirono i battenti del Museo Archeologico Nazionale, pietra angolare di quegli
Annali delle Arti
che di lì a un triennio avrebbero portato alla nascita del Madre.
Dove,
permeato di genius loci, il medesimo si sarebbe esibito a tutto tondo, facendo “piovere” tra
due piani risucchiati l’uno verso l’altro un variopinto caleidoscopio di
folklore, magia e stereotipi in forma d’affresco; e poi ideando le piastrelle,
e perfino il vasellame del ristorante.
La
mostra corona dunque una questione di feeling, amicizia e gratitudine
reciproche. Un passaggio spirituale, che cede esplicitamente alla retorica
delle radici solo nelle Mappe, uniche opere nuove di zecca in un corpus di un centinaio
di pezzi dal 1974 al 2004, ingenuo e incisivo pastiche di mondi lontani, dominati però
dall’assoluta centralità partenopea. Una geografia fantastica che si fa
specchio d’una biografia nomade, dapprima spensieratamente raminga e poi
consapevolmente incardinata su coordinate precise: l’India, New York, e ancora
Napoli.
E
quanta energia sentimentale sia stata investita lo sottolinea la pregevole
operazione editoriale a latere, frutto dell’amicizia di Clemente con Salman Rushdie, lo
scrittore indiano noto per esser stato colpito dalla fatwa islamica, autore per l’occasione
di Nel sud,
racconto di senilità ambientato nel meridione del Subcontinente (ma agevolmente
“trapiantabile” altrove). Ispirazione ricambiata dall’artista con una bella
serie d’illustrazioni “goticheggianti”, capolettera compresi.
Nelle
sale al terzo piano, gli habitué del Madre s’imbattono in una personale meno monocorde e
ripetitiva delle precedenti, che stavolta ha i numeri per incontrare anche il
gusto del proverbiale “grande pubblico”, per le possibilità intrinseche a una
pittura seducente per colori e immagini e fertile di soluzioni e leitmotiv solo
in seconda battuta (e non sempre) ermetici, primo fra tutti il sesso. Un
magazzino surreale, trapunto d’araldica popolare e tramato di eredità,
omogeneizzato in una cifra personale.
Una
monografica non celebrativa, s’è spesso detto durante la presentazione (anche
per evitare che il panegirico dell’ospite si trasformasse nel peana del padrone
di casa). Ma che in ogni caso convalida per i più fegatosi “misopartenopeisti”
(abbondanti, ça va sans dire, fra gli autoctoni) il teorema secondo il quale solo chi
va via dal Golfo fa fortuna, e vi torna da figliuol prodigo. Specie nel caso in
cui di Americhe ne abbia (ri)trovate ben due: una oltreoceano, l’altra su un
suolo natio che forse, senza quel timbro sul passaporto, sarebbe stato meno
generoso.
“Punto
di arrivo e punto di partenza”, ha definito l’antologica il direttore del Madre,
Eduardo Cicelyn. E, tra quei corsi e ricorsi storici di cui i napoletani – Vico
docet –
sembrano avere il copyright, chissà che tra un settennato non ci scappi un Clemente ter…
che crisi del settimo anno. Correva il 2002 quando per Francesco Clemente (Napoli, 1952; vive a New York) si
aprirono i battenti del Museo Archeologico Nazionale, pietra angolare di quegli
Annali delle Arti
che di lì a un triennio avrebbero portato alla nascita del Madre.
Dove,
permeato di genius loci, il medesimo si sarebbe esibito a tutto tondo, facendo “piovere” tra
due piani risucchiati l’uno verso l’altro un variopinto caleidoscopio di
folklore, magia e stereotipi in forma d’affresco; e poi ideando le piastrelle,
e perfino il vasellame del ristorante.
La
mostra corona dunque una questione di feeling, amicizia e gratitudine
reciproche. Un passaggio spirituale, che cede esplicitamente alla retorica
delle radici solo nelle Mappe, uniche opere nuove di zecca in un corpus di un centinaio
di pezzi dal 1974 al 2004, ingenuo e incisivo pastiche di mondi lontani, dominati però
dall’assoluta centralità partenopea. Una geografia fantastica che si fa
specchio d’una biografia nomade, dapprima spensieratamente raminga e poi
consapevolmente incardinata su coordinate precise: l’India, New York, e ancora
Napoli.
E
quanta energia sentimentale sia stata investita lo sottolinea la pregevole
operazione editoriale a latere, frutto dell’amicizia di Clemente con Salman Rushdie, lo
scrittore indiano noto per esser stato colpito dalla fatwa islamica, autore per l’occasione
di Nel sud,
racconto di senilità ambientato nel meridione del Subcontinente (ma agevolmente
“trapiantabile” altrove). Ispirazione ricambiata dall’artista con una bella
serie d’illustrazioni “goticheggianti”, capolettera compresi.
Nelle
sale al terzo piano, gli habitué del Madre s’imbattono in una personale meno monocorde e
ripetitiva delle precedenti, che stavolta ha i numeri per incontrare anche il
gusto del proverbiale “grande pubblico”, per le possibilità intrinseche a una
pittura seducente per colori e immagini e fertile di soluzioni e leitmotiv solo
in seconda battuta (e non sempre) ermetici, primo fra tutti il sesso. Un
magazzino surreale, trapunto d’araldica popolare e tramato di eredità,
omogeneizzato in una cifra personale.
Una
monografica non celebrativa, s’è spesso detto durante la presentazione (anche
per evitare che il panegirico dell’ospite si trasformasse nel peana del padrone
di casa). Ma che in ogni caso convalida per i più fegatosi “misopartenopeisti”
(abbondanti, ça va sans dire, fra gli autoctoni) il teorema secondo il quale solo chi
va via dal Golfo fa fortuna, e vi torna da figliuol prodigo. Specie nel caso in
cui di Americhe ne abbia (ri)trovate ben due: una oltreoceano, l’altra su un
suolo natio che forse, senza quel timbro sul passaporto, sarebbe stato meno
generoso.
“Punto
di arrivo e punto di partenza”, ha definito l’antologica il direttore del Madre,
Eduardo Cicelyn. E, tra quei corsi e ricorsi storici di cui i napoletani – Vico
docet –
sembrano avere il copyright, chissà che tra un settennato non ci scappi un Clemente ter…
articoli
correlati
Clemente a Torino
anita
pepe
mostra
visitata il 30 maggio 2009
dal 29 maggio al 12 ottobre 2009
Francesco
Clemente – Naufragio con spettatore 1974-2004
a
cura di Pamela Kort
MADRE – Museo d’Arte Donna REgina
Via Settembrini, 79 (zona San Lorenzo) – 80139 Napoli
Orario: da lunedì a venerdì ore 10-21; sabato e domenica ore 10-24; martedì
chiuso
Ingresso: intero € 7; ridotto € 3,50; lunedì ingresso libero
Catalogo Electa Napoli
Info: tel. +39 08119313016; www.museomadre.it
[exibart]