Chi mastica un po’ di sano orgoglio partenopeo o
semplicemente ha avuto la fortunata occasione di aggirarsi tra i corridoi dei
musei napoletani sa perfettamente che, dietro a capolavori quali l’
Ercole
Farnese o la
Danae di
Tiziano si cela la storia di un’eredità e
del suo viaggio da Roma a Napoli, deviando per Parma.
A tesserla due “arazzieri” d’eccezione come papa Paolo III
e il nipote Alessandro Farnese, i quali, nel tentativo di giustificare e allo
stesso tempo accrescere il prestigio del casato di famiglia, accumularono con
metodi più o meno ortodossi (confische, attribuzioni) e colpi di fortuna un
cospicuo nucleo di prestigiose opere d’arte, che le sorti ereditarie
consegneranno nelle mani di Carlo di Borbone.
Oggi questa storia fatta d’intrighi, brame di potere e
opulenza manifesta – che l’acuto Tiziano già dipinse nel ritratto di famiglia
con papa e nipoti ora, neanche a dirlo, a Capodimonte – rivivono in un evento
che definire mostra risulta riduttivo. Perché la
Collezione Farnese è molto di più: è
una lacuna che
si colma, un processo di musealizzazione che guadagna un’importante traguardo.
“L’intento è quello di presentare ai visitatori la
raccolta nel suo insieme”, spiega la soprintendente Mariarosaria Salvatore, “
liberandola
dai successivi inserimenti di pezzi di particolare pregio, ma delle più varie
provenienze”. Un
obiettivo ambizioso, egregiamente raggiunto da Carlo Gasparri e dalla sua
équipe, privilegiando un allestimento che, con scrupolo filologico, ripercorre
ove possibile l’originaria distribuzione delle opere. Ma non è tutto. Transitando
nelle sale si scoprono, infatti, chiavi di lettura eterogenee, che fanno del
nuovo allestimento una storia fra le storie, tutte reciprocamente destinate,
inscindibili.
La collezione diventa allora
“testimonianza
significativa della cultura antiquaria e dell’interesse per l’antico del
Rinascimento”,
nella galleria di ritratti di uomini e donne illustri o nei rilievi con episodi
di matrice mitologica. È la pagina su cui l’esperienza racconta l’evolversi
delle tecniche di restauro, nella scelta di esporre, accanto all’
Ercole, le gambe che un tempo
sostituivano le originali, realizzate da
Giovanni della Porta. È, ancora, latente storia di una
famiglia intenzionata a legittimare il proprio potere accumulando i testimoni
della grandezza del passato.
A completare questa
koiné dei saperi d’arte, la possibilità
di riconoscere alleanze tra maestri antichi e moderni, alunnati ideali sgranati
nel tempo che possono indurre ad affiancare le teste-mensola realizzate da
Nicola
Pisano nel duomo
di Siena con le sculture usate per le fontane di Palazzo Farnese, oppure
aiutare a decifrare il classicismo carraccesco, suggerendo su questa via anche
i muti legami esistenti tra i diversi musei napoletani. È il caso della
scultura acefala posizionata nelle sale che accolgono le opere dell’originaria
Galleria di palazzo, progenitrice delle possenti figure di
Annibale Carracci e la cui posa trova un’eco nell’
Allegoria
Fluviale del
bolognese ora a Capodimonte.
Oltre l’esposizione, dunque. Per cogliere un’evoluzione
che risiede nella capacità del passato di riscoprirsi alla luce del presente.