Quando il paesaggio era
paesaggio. La magia dei luoghi e i costumi di un’epoca perfettamente ritratti nell’oggettività del vedutismo firmato
Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro di Correggio, 1807), celebrato nel bicentenario della morte nella Reggia di Caserta, dove fu pittore alla corte di re Ferdinando IV di Borbone.
E non può non suscitare amarezza e indignazione la vista dei nostri odierni “paesaggi”. Considerazione inevitabile davanti ai chilometri di spazzatura che ingombrano le strade di una regione offesa e deturpata orribilmente. Il panorama di queste settimane non ha niente a che vedere, purtroppo, con le visioni pittoriche di Hackert, interprete del più puro spirito illuminista e del paesaggio ideale. I suoi cieli luminosi, nonostante la costante presenza di nubi, testimoniano le infinite suggestioni della Natura, bucolico spazio della memoria o dell’anima, raccontata nelle quattro sezioni della mostra. Oltre cento tavole su tela e tavola, gouache, incisioni e disegni nei quali riproduceva la natura “
disegnando a penna contorni definitivi”, come scrisse Goethe, che lo incontrò nel 1787 e ne tracciò poi la personalità nello
Schizzo biografico.
Il percorso si snoda attraverso gli appartamenti reali e le sale della Pinacoteca, testimoniandone l’intera opera: dagli esordi berlinesi al soggiorno parigino, al viaggio in Italia. Ruderi della romanità e fazzoletti di terra sconfinata finiscono nei suoi disegni seppiati, preludi agli oli cristallini; nel giro di pochi anni è tra gli artisti più richiesti dai nobili viaggiatori stranieri e dalla corte di Caterina II di Russia passa a quella dei Borbone.
“
Quasi un catasto pittorico” che, coniugando esattezza topografica e impostazione classica, testimonia vedute, manovre militari e cerimonie reali quasi fossero scatti fotografici. Come la visione oleografica dei porti del regno, celebre serie eseguita dal 1787 al 1792, navigando lungo le coste di Puglia, Calabria e Campania fino alla foce del Garigliano. E ispirata ai porti francesi di Vernet. Hackert seppe ritrarre con abilità prospettica la quotidianità, l’infinito, la storia. Dal cratere degli Astroni a Pompei,
Il tempio di Venere a Baia,
Il teatro greco di Siracusa. Icone silenziose di un passato che si andava riscoprendo.
Cosa ne abbiamo fatto della natura? È inevitabile chiederselo, oggi più che mai. I segni del progresso (?) hanno modificato profondamente i nostri paesaggi, sempre più violati dall’inarrestabile evoluzione. Riflessioni suggerite ancor più dalla pittura analitica di Hackert, fedele testimone di quanto nel 1768 scriveva Karl Philipp Moritz: “
L’Italia è un vero Paradiso, lontano dal resto del mondo, protetto dalle Alpi e cullato dal mare. Raccoglie in sé tutto ciò che può rendere la vita felice e piacevole”. Poi arriva la rivoluzione del 1799, la fuga dal regno, il rifugio in Toscana a San Pietro, paesaggio delle sue ultime visioni.
La vista di una stufetta distrae inaspettatamente lo sguardo e la magia del vedutismo di Hackert s’interrompe sul filo elettrico, segno inevitabile del ritorno. Nel XXI secolo.