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Fino al 13.IX.2014 | Stano Filko, Jiři Kovanda | Fondazione Morra Greco, Napoli

di - 3 Settembre 2014
Negli spazi condivisi di una doppia personale possono esprimersi modi opposti di descrivere il rapporto con ciò che ci circonda, anche nel caso in cui, a essere accostati siano artisti appartenenti allo stesso sfondo culturale. Così, Jiři Kovanda (Praga, 1953) e Stano Filko (Veľká Hradná, 1937), entrambi cresciuti nella Rivoluzione di velluto e nel socialismo dal volto umano della primavera praghese, sono intervenuti nelle sale della Fondazione Morra Greco, all’insegna della discontinuità tra i linguaggi. Per la varietà architettonica che contraddistingue i suoi interni, la galleria napoletana è a suo agio in quel meccanico parallelismo delle doppie personali, un concetto espositivo portato avanti nell’ambito del Progetto XXI, in collaborazione con la Fondazione Donnaregina e giunto al secondo anno.

Dunque, i fruitori estivi del circuito mai in ferie dell’arte, usciti dal crogiolo di voci e salsedine dei vicoli del centro storico di Napoli, possono tentare il percorso a ostacoli tra i grandi oggetti cannibali di Filko, oppure godersi l’immobilità refrigerante di quel cielo stellato sotto-sopra di noi, in Above our heads, installazione site specific di Kovanda.
Nel grande ambiente unico del piano interrato sei lampade sono disposte su altrettanti pilastri e riproducono la disposizione delle stelle che formano la costellazione del Corvo, individuata, per la prima volta, dall’astronomo e geografo Tolomeo. Un artificio rappresentativo e illusionistico, erede delle illustrazioni degli antichi trattati astronomici, che raffiguravano le costellazioni come oggetti comuni o animali. I modi espressivi di Kovanda, però, sono contemporanei, considerando che le lampade sono object trouvé sulle bancarelle dei robivecchi, ricordi dell’arco temporale che va dagli anni ’30 ai ’70, periodo particolarmente significativo per la storia cecoslovacca. L’oscurità della sala sembra svelarsi, appena illuminata dalle luci fievoli, ma lo spazio compreso tra gli archi e i muri umidi perde la connotazione oggettiva della solida architettura e diventa apertura interiore, umana e cosmica.
Dopo aver lasciato l’ombra immobile dell’interrato, l’impatto con il primo piano è spiazzante. Un pozzo con uno specchio sul fondo, un tubo orizzontale lungo alcuni metri, manifesti stile agit-prop, scale colorate, un pallone aerostatico. Quelle di Filko sono installazioni che superano l’ambiente nel quale sono esposte, saturando tutti gli angoli con un linguaggio strabordante, aggredendo la vista e l’attenzione. Il colore non solo struttura le dimensioni ma unisce le forme delle opere, pur geometricamente diverse, creando un unico sfondo colmo di sfumature dinamiche. Dietro questo calembour percettivo, c’è un metodo che abbraccia molte discipline. Talmente tante che si rischia di perdere il conto e l’orientamento, in questo labirinto di opere che sfonda la solida estensione fisica per trasformarla in elemento precario.
D’altra parte “definitivo” è tra gli aggettivi più astratti che il linguaggio sia riuscito a creare. Tutte le fatiche filosofiche e matematiche, per arrivare a una felice ammissione di impossibilità: un’applicazione univoca per regolamentare ciò che si percepisce non può esistere. Con buona pace dei grandi fratelli di orwelliana memoria e delle nuove inquisizioni visive, il bello è proprio poter continuare a discuterne.
mario francesco simeone
mostra visitata il 12 giugno 2014
Dal 13 giugno al 13 settembre 2014
Stano Filko, a cura di Mira Keratova / Jiři Kovanda
Fondazione Morra Greco
Largo Proprio di Avellino 17, Napoli
Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 14.00. Sabato e domenica chiuso

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