Per le religioni postvediche, il saṃsāra rappresenta il flusso che esiste al di fuori del tempo e della conoscenza sensibile, uno scambio continuo tra diversi stati dell’esistenza. Un concetto fondamentale non solo per la cultura indiana ma anche per quella occidentale – dalla mistica orfica al teosofismo di Helena Petrovna Blavatsky – che Antonio Gibotta (1988) ha trasformato in motivo ispiratore per i suoi reportage fotografici, realizzati in occasione di una residenza itinerante nel Subcontinente ed esposti da Kromìa, spazio napoletano recentemente aperto e dedicato al linguaggio specifico della fotografia.
Il reportage è un tipo di scrittura visiva, prevalentemente giornalistica, che si sofferma sulla realtà oggettiva, quotidiana, con intenti di analisi sociale e culturale. Su tale sfondo rigorosamente documentario, comunque caratterizzante nelle sue immagini, Gibotta introduce elementi di partecipazione emotiva ed eleganza compositiva che, in alcuni momenti, diventano preponderanti sulla narrazione dell’evento. «Da questa pulsante materia umana, si trae una forma d’arte», ha detto Diana Gianquitto, curatrice della mostra. Non potrebbe essere altrimenti, perché soggetto dell’osservazione sono due rituali topici della società indiana, la cerimonia funeraria induista e le celebrazioni della festa di primavera, che offrono ritmi opposti ed espressività antitetiche ma, immediatamente affiancati nell’esiguo ambiente espositivo, formano un armonico movimento visivo. La sostanza che unisce idealmente i due riti è la polvere, quella colorata e ludica che si usa durante la festività di Holi e quella drammaticamente statica di Antyeshti, la cremazione dei funerali di rito indù.
Holi si celebra il giorno successivo alla prima notte di luna piena del mese di phalgun, corrispondente grossomodo a febbraio, una ricorrenza osservata nelle regioni induiste per festeggiare l’ingresso della primavera ma diventata evento di risonanza mondiale. Una pioggia fitta di pigmenti compone un vortice di corpi e colori, posandosi sulle membra delle persone infervorate nella calca festante, tutti gli spazi sono saturi di tinte sgargianti, le profondità si scompongono nell’astrazione e acquistano nuove dimensioni tonali. Per riprendere questo groviglio barocco e rendere la portata collettiva dell’evento, Gibotta ha scelto punti di vista eccentrici, prevalentemente dall’alto ma a pochi passi dall’azione, come si addice alla forma del reportage. Per la cerimonia di cremazione, l’obiettivo fotografico segue un percorso inverso, avvicinandosi espressivamente sui particolari dei volti contratti, sulle mani annodate. Le immagini sfumano nella staticità, l’intreccio ridondante si scioglie nel rigoroso chiaroscuro e i corpi diventano plastiche sculture del lutto. Isolate da tutto ciò che è esterno, le sensazioni si producono e si consumano in un nucleo intimo, nel quale lo spettatore si introduce in silenzio.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 13 marzo 2015
Dal 13 marzo 2015 al 13 maggio 2015
Antonio Gibotta, Samsara
Kromìa
via Diodato Lioy 11 – 80134, Napoli
Orari: lunedì, mercoledì, venerdì 10.30-13.30 / 16.30-19.30; martedì, giovedì, sabato 10.30-13.30