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Fino al 14.I.2017 | Victor Burgin, Dear Urania | Galleria Lia Rumma, Napoli

di - 14 Dicembre 2016
Esiste da un numero di anni difficilmente trascrivibile, per semplicità diciamo circa 50 milioni dopo la formazione del sistema solare e, tra le numerose teorie sulla sua nascita, quella più spettacolare sembra essere anche la più credibile. La Luna si sarebbe costituita in seguito a un Impatto Gigante – termini ufficiali della comunità scientifica – tra la Prototerra e un corpo celeste delle dimensioni di Marte, affettuosamente chiamato Theia o Orpheus. Da quel momento, il satellite è lì, l’abbiamo sempre considerato nostro per diritto naturale, come se vederlo a occhio nudo e l’illusione di una prossimità tattile dichiarassero un’implicita attribuzione di potestà. Tanto che 382 chilogrammi di materiale roccioso sono stati portati anche dalle nostre parti, rigorosamente per motivi di studio, mica come souvenir.
E comunque Victor Burgin, per il suo gradito ritorno negli spazi napoletani di Lia Rumma – la prima volta fu quasi quarant’anni fa, nei primi anni ’70, periodo in cui esercitava la sua estetica su una fotografia concettuale e politicamente schierata – non parte dal nitido perimetro argentato o dal chiaroscuro dei crateri, nemmeno dal computo del periodo orbitale o dalla composizione mineraria. L’artista inglese, tradizionalmente interessato alla polisemia delle immagini e delle parole, declina l’argomento da un’angolazione traversale, pur riuscendo a mantenere una discreta cifra di romanticismo, veramente inevitabile considerando l’oggetto celeste in questione.

La strada per la Luna comincia dalla frusciante solidità delle pagine di un racconto da riscoprire, “Il primo viaggio alla Luna fatto da una donna, l’anno di grazia 2057”, pubblicato nel 1857 da Ernesto Capocci, matematico e direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Jules Verne, pochi anni dopo, godrà di maggiore fortuna, eppure “Il primo viaggio” meriterebbe di essere accostato al grande filone della fantascienza dura e cruda, quella di Arthur Clarke e Carl Sagan per intenderci, per lo stile con il quale alcuni spunti di narrazione sincera ed emotiva si congiungono a ipotesi scientificamente fondate. Il racconto breve è in forma futuristica-epistolare, Urania, la prima cosmonauta, invia la sua relazione tecnica e le sue impressioni personali ad Ernestina, una sua carissima amica, attraverso «un filo elettrico che cinge intorno all’equatore cotesto globo e lo ricongiunge a quest’altro globo, ti recherà i miei pensieri alla distanza di dugentomila miglia, con la velocità del pensiero medesimo». Burgin scrive il secondo capitolo della storia e ricostruisce il contesto della risposta, immaginando la vita terrestre di Ernestina, artista napoletana trapiantata a New York.
Il percorso espositivo è ben impaginato negli spazi, non semplici, della Galleria, interpretandone gli ambienti con un allestimento che, curato al millimetro e al lumen, carica di suggestioni la forma fruitiva delle opere. Nel corridoio d’accesso, le archeologie in bianco e nero di Pompei, immortalate in due corpose serie fotografiche risalenti al 2006, sono illuminate dalla tenue luce di un video proiettato che ritrae le fasi della luna, alla quale, verosimilmente, Ernestina rivolge lo sguardo, durante la stesura della sua risposta. Poi, si entra nella sua vita professionale e artistica, tra vaga sensualità e accenni politici. Su sei stampe del suo sketchbook, sono ritratte figure di donne in pose abbandonate e riportati stralci da “Conversazioni sulla pluralità dei mondi”, testo illuminista e ur-fantascientifico pubblicato nel 1686 da Bernard le Bovier de Fontenelle. Lo scrittore e aforista redasse il testo in francese, non in latino, per rivolgersi anche al pubblico femminile e Burgin sceglie di mettere in evidenza questo atteggiamento, forse per rispondere a vecchie accuse rivolte, dalla militanza femminista, ad alcune sue opere degli anni ’70 e ’80, in particolare Gradiva e Zoo. A chiusura, un altro video proiettato, realizzato in computer grafica, mostra un letto disfatto in un tipico loft americano con parquet e mattoncini rossi. Questa visione eroticamente umbratile, di superficie diafana, è integrata da frasi tratte della struggente missiva di risposta, in cui dichiarazioni di fedeltà e di speranza sono rivolte all’amica e all’umanità, entrambe avvertite distanti.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 27 ottobre

Dal 16 ottobre 2016 al 14 dicembre 2017
Victor Burgin, Dear Urania
Galleria Lia Rumma
Via Vannella Gaetani, 12 – Napoli
Orari: martedì-sabato 11-13:30 / 14.30-19:00
Info: info@liarumma.it

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