Inaugura il nuovo spazio della galleria T293 con la personale di un giovanissimo artista, statunitense di origine ma europeo di adozione. Jordan Wolfson (New York, 1980) vive tra New York e Berlino e ha all’attivo alcune mostre personali di un certo interesse tutte in Europa: tra Parigi, Zurigo e Stoccolma, dove ha studiato all’Arts and Krafts College. Il suo lavoro combina l’uso di diversi media linguistici: film, video, animazione, dispositivi meccanici e musica, ed è caratterizzato da interventi minimi e di grande delicatezza ma ricchi di slittamenti concettuali.
Per il piccolo ambiente completamente bianco della galleria l’artista ha realizzato un’installazione sonora. Un’opera da ascoltare e da ‘camminare’. La madre dell’artista esegue in modo approssimativo ed esitante il componimento di Erik Satie (1866-1925) intitolato Gymnopédie n°1 (Ginnastica dei piedi), termine a sua volta distorto dall’artista nel titolo della mostra, Jeim no pedti. Guidati dalla musica si è indotti a percorre lo spazio della galleria lasciando tracce più o meno evidenti del proprio passaggio.
Il pavimento della galleria, trattato in modo non uniforme, con una particolare vernice bianca che assorbe lo sporco, non verrà pulito per l’intera durata della mostra. In questo modo si crea una sorta di mappa di deambulazione, una corrispondenza visiva tra il brano suonato e il comportamento del pubblico.
La suonata diventa il sottofondo e lo stimolo effettivo a compiere la nostra ‘ginnastica dei piedi’ in modo per così dire amatoriale, come fa la stessa madre dell’artista nell’interpretazione del brano, aprendo lo spazio all’errore e alla casualità.
Il difetto formale e l’approssimazione diventano dunque le categorie estetiche portanti di questo progetto, e generano una reazione a catena tra gli elementi linguistici coinvolti. Un percorso tra gli altri lavori dell’artista. In Nostalgia is Fear (2004) lo spettatore si trova davanti ai fari di una Porsche mentre una macchina si aziona casualmente producendo una nevicata artificiale sulla sua testa. In un’ installazione presentata alla Kunsthalle di Zurigo nel 2004, intitolata Dreaming of the dream of the dream l’artista seleziona una serie di sequenze, tratte da diversi cartoon, che hanno come elemento comune l’acqua. Il film, proiettato in loop, degrada progressivamente fino a un deperimento definitivo dell’immagine, motivo ripreso nell’opera Star Field(2004). Jordan Wolfson crea dispositivi che innescano processi emozionali e che riflettono in modo ironico sul rapporto tra media e realtà. E per rendere lo sguardo sul reale più veritiero l’arte inciampa nell’errore. E la distorsione, il fluire non direzionato, il carattere di contingenza e il lento deperire dell’opera pongono questioni ancora attuali.
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francesca boenzi
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