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In occasione della prima personale di Tomaso Binga negli spazi napoletani della galleria di Tiziana Di Caro, sono esposte alcune tra le opere storiche dell’artista, poeta, performer, femminista, attivista, rivoluzionaria. Scrivere non è descrivere, ricorda con chirurgia metalinguistica la stessa Binga, eteronimo al quale Bianca Pucciarelli ha legato una parte della sua vita coincidente con la ricerca artistica e non solo. Ergo, tutte le categorie, gli aggettivi e i generi appena elencati potrebbero non corrispondere effettivamente alla realtà delle cose.
Così, nei Dattilocodici, esposti per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1978, le lettere meccaniche della macchina da scrivere sono sovrapposte e incrociate in un labirinto di grafemi che smarrisce ogni ipotesi semantica del reale e la cui via d’uscita conduce alla vertigine dei codici, come un’architettura di segni di sospensione. Le forme di questo alfabeto aleatorio eccedono il formato minimale, sulle pagine si amplificano risonanze di carta e significati, assimilando totalmente l’esperienza dello spazio e lasciando un’intuizione delle infinite possibilità combinatorie in cui si struttura la conoscenza. Un simile ritmo di saturazione è ripreso anche in Ti scrivo solo di domenica, lettura performativa eseguita per la prima volta nel 1978 e di cui le 52 missive scritte per tutto il 1977 e destinate a una cara amica, non propriamente immaginaria, ne sono l’elemento residuale. L’intera sala è accerchiata da fogli, riscrivendo l’architettura con spunti narrativi, con immagini vivide che scorrono nell’aspetto di asserzioni. “Partirò fra tre settimane con una zattera”, “Per timbrare la carta di vuole concentrazione mentale”, “E ora parlami della tua vita”, sono i frammenti di un dialogo del sé, in cui mittente e destinatario coincidono e l’oggetto della discussione è un viaggio eternamente rimandato, prima su una nave infine su una zattera.
Tra le righe, si respira un’atmosfera di dilatazione del tempo e dello spazio nel flusso dell’esistenza interiore, un’espansione della coscienza simile a quella descritta da James Joyce per alcuni suoi personaggi, da Eveline a Molly. Le lettere dell’Alfabetiere, opera del 1975/1976, agiscono sul limite dell’inconscio, immaginando una sintassi organica, in cui alla forma delle lettere pure corrisponde una disposizione del corpo nudo. La curva della schiena, un piede che sporge, un ginocchio piegato in corrispondenza di un gomito, sono le unità fondamentali di una calligrafia. Con queste nuove lettere, stratificate di interpretazioni psicanalitiche e cariche di immagini dell’archetipo femminile, Tomaso Binga compone parole dense di corporeità, come Mater – Litanie Lauretane, del 1977, esposta in mostra.
Questi linguaggi risemantizzati formano un nuovo vocabolario sociale, consapevole dell’arbitrarietà, perché, per Tomaso Binga, le radici delle disparità di genere e delle iniquità di censo sono da ricercare nell’origine delle parole. Nel momento esatto in cui segno, significato e significante si uniscono per determinare ciò che è definito reale o immaginario, giusto o sbagliato.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 29 settembre
Dal 24 settembre al 14 novembre 2015
Tomaso Binga, Scrivere non è descrivere
Galleria Tiziana Di Caro
Piazzetta Nilo, 7 – 80134, Napoli
Orari: da martedì a sabato, dalle 15.00 alle 20.00 o su appuntamento
Info: info@tizianadicaro.it