Napoli, in campo d’arte, ne ha molti di primati. Ma la città, storicamente masochista, poco ama idolatrarsi. Il tentativo di
Bruno del Monaco (Napoli, 1949) – già noto per la partecipazione alla mostra-inaugurazione del Pan
The Giving Person e in questi stessi giorni impegnato al Castel dell’Ovo con l’allestimento di quattro nuovi lavori per
Il Giallo di Napoli di J. N. Schifano – è netto: ripercorrere, con una carrellata d’immagini, momenti d’arte durante i quali il capoluogo campano cavalcava la cresta dell’onda nel campo del dibattito e della sperimentazione.
Di solito i reportage d’autore studiati per Napoli propinano la città sfigurata del dopoguerra o quella sacra dai riti simil-esoterici. Lecito, senza dubbio. Ma del Monaco gira l’angolo ed entra negli spazi di Napoli dove si
trattava l’arte. E dunque, sulle pareti della Pica Gallery di Chiaia, numerosissimi scatti che hanno per soggetti piazze, caffè, librerie, università, laboratori privati, dove s’individuano artisti muoversi a proprio agio.
Il tema dell’artista fotografato dall’artista è oggigiorno abbondantemente speculato; ciononostante nella ricerca di del Monaco di materiale originale ce n’è eccome. Originale perché mettere in mostra l’artista mentre partecipa a un vernissage o mentre racconta gli spazi dove lavora ha un sapore tutto nuovo. Si tratta di foto distanti anni luce dalla ricerca di una compiacenza mediatica, ora tanto di moda, che esalta il genio assoluto dell’artista creatore. Di dna mecenatico, in queste foto, neanche l’ombra. Pare così lontana nel tempo quell’aria rarefatta dal fumo delle sigarette e smossa da dibattiti conclamati.
Originale, poi, perché il contesto stesso, quello napoletano, ove la ricerca è sviluppata, era in quegli anni più di ogni altro all’avanguardia. È la Napoli, quella, da guinness, giacché prima città europea a offrire all’estro artistico le piazze: le installazioni dei primi anni ‘70 di
Mario Persico e
Gianni Pisani in piazza dei Martiri quasi non le ricordavamo più. (
1970. Natale: sculture in piazza). È fotografata la Napoli che si raccoglieva per lunghi dibattiti attorno ad Achille Bonito Oliva nella Libreria Guida, che disquisiva con
Gilbert & George al Bar Cristallo (
1974. Bar Cristallo a piazza dei Martiri) e che ospitava Giulio Carlo Argan negli spazi di Palazzo Reale (
1972. Palazzo Reale).
È la stessa Napoli dove i moti sessantottini si fecero sentire. Le colonne di cartapesta segnate da anonimi graffitari ed erte al centro delle aule didattiche della Facoltà di Architettura sono, poi, in questi giorni ancor più attuali (
1967. Facoltà d’Architettura). Una Napoli che già s’interrogava sul tema del consumismo scellerato, mentre si allestivano per
Onnivorismi, al Supermercato GS, scarafaggi titanici fra scaffali e prodotti (
1995. Supermercato GS, ex cinema Alcione).
Fatto sta che Napoli, forse ingenuamente, non si rese conto della ventata di novità che spirava dal suo golfo e solo oggi le prove sono portate alla mano da del Monaco. Il capoluogo campano, re dei primati negativi, conscio di esser reo – per effetto di un lavaggio del cervello mediatico che perdura da almeno dieci anni – di frenare lo sviluppo economico e culturale della nazione, si presenta pubblicamente in ogni occasione con la coda tra le gambe. In questo senso, la ricerca di del Monaco sembra fare un po’ di giustizia.