Quest’ultimo lavoro di Maurizio Elettrico è il contrario di una celebrazione. Non descrive un percorso definito, non è una tappa raggiunta. Le sue installazioni minimali sono come tanti spezzoni, piccole costellazioni di senso che emergono dal vuoto di una memoria incerta. Essi appartengono a una geografia mentale spezzata, ancora alla ricerca di confini stabili, dove l’Io dell’artista vive il senso di un immenso disordine, come l’attesa di una catastrofe, quella di un radicale e inconoscibile mutamento. E’ estremamente contemporaneo manifestare un’identità piena di contraddizioni, è in questa
Lo sguardo sembra perdersi in ogni direzione, sotto la spinta dei molteplici riferimenti disseminati nella mostra. Eppure tutto è velato da una ironia leggera e beffarda, come se alla fine non contasse neppure la narrazione ma solo il gesto che è insieme senile e giovanissimo, di nuovo infantile, quasi virginale. I suoi alter – ego infantili, Ambra, Mauro, Sarah, rappresentano lo sguardo puro, privo di contaminazioni, ancora capace di stupore.
In questo lavoro c’è il tentativo accanito di tirare fuori una forma, o comunque di catturarla mentre passa, molto più della costruzione che può comunque diventare una costruzione intellettualistica, Così la forma può sfuggire o sparire del tutto come è accaduto a Opera scomparsa per un processo di contemporanizzazione. Che negli oggetti si sia calato un frammento della nostra vita e della nostra storia, che per essi ci sia odio o amore, che essi emanino il calore dei ricordi o che il calore fugga da essi, non conta assolutamente nulla : questi non sono elementi misurabili e quantificabili. Il vuoto dell’opera, non è un vuoto negativo, ma proprio l’unico luogo dell’arte, come se la vita, o il vedere, dovessero essere per sempre accecati.
maya pacifico
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