E’ nota la tendenza di Zak Manzi (Napoli, 1975) verso la creazione di opere irriverenti, per i significati sociali, politici e psicologici in esse contenuti. Lo strumento è soprattutto l’ironia, e i soggetti sono spesso ispirati a fatti e situazioni dei nostri giorni. In realtà, nel nuovo video dell’artista napoletano, la riflessione tende ad evidenziare il suo lato drammatico e non più ironico. L’opera è un’interpretazione del fenomeno del Burnout, disturbo che colpisce particolari categorie di lavoratori portandoli in un circolo vizioso di frustrazioni, apatia e perdita di controllo.
Lo stile del video è concentrato ed essenziale. Manzi si è servito di una telecamera fissa, posta in alto in un angolo della galleria partenopea. E, grazie ad un occhio lucido e disincantato, ha registrato questa performance di anime perse. Professionisti falliti, instabili e indifesi: “…l’abbiamo osservata, lei forse non sa che ogni sua azione viene monitorata, registrata…” -recita la voce fuori campo, aggiunta al video per ottenere un effetto ancora più drammatico– “…abbiamo valutato che la sua condizione psicofisica non le consente di fornire un sereno ed efficace servizio…”.
Le frasi rimandano al gelo dei rapporti sociali, ad un ambiente circostante ostile ed estraneo: “…ho prenotato per lei una visita di controllo, ci atterremo alle indicazioni che ci daranno, le auguro buon lavoro…”.
Il vero protagonista di questa vicenda colorata di psicoanalisi è l’artista stesso. Ma la ripetitività, l’irrazionalità del suo dondolare è messa in risalto dal comportamento degli altri personaggi del video: i quattro infermieri psichiatrici, affetti da burnout, che vagano spaesati nella stanza. La sindrome ha ridotto dei professionisti a corpi senza vita e Zak Manzi si fa interprete dei loro disagi, della disperazione di uomini che non sanno più agire né pensare.
Tutto ciò che accade nel video è spiazzante. Degno di una rappresentazione da teatro dell’assurdo. L’opera introduce in un’atmosfera dove la linea di confine tra reale e grottesco diventa labile. Non solo, l’effetto rallentato che distende l’azione accentua le emozioni, le idee e i pensieri dei protagonisti.
Una nota a parte merita la colonna sonora. Scritta da Giuseppe Fontanella, chitarrista dei 24Grana, la musica contribuisce a dare tensione alle immagini. Il ritmo è anch’esso rallentato. Capace di comunicare, sottolineare l’angoscia e il disagio di queste figure in camice bianco. Simili, nella loro desolazione, ai personaggi dei romanzi e dei drammi beckettiani.
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sono un ammiratore dell'artista zak manzi,infatti ho ben tre dico treeee quadri suoi e in piu' ho dei disegni datati 1997 una rarita' . spero che faccia questa benedetta biennale di venezia cosi' i miei quadri aumenteranno di quotazione .scherzi a parte lui merita il rispetto dal mondo dell'arte perche' lo merita
"Videomare..."
Trovo molto interessante quest’ultimo lavoro di Zak, fratello Zak. Non mi sono mai trovato così vicino ad un lavoro di Zak come stavolta. OK, forse mancherà la vena sarcastica dei lavori precedenti, anche se forse sarebbe meglio sostenere che esso c’è ed è bello presente, solo che è molto sottile. Un preservativo sensibile, direi.
E’ un bel lavoro che sconfina nella video danza. Per chi come me che ha assistito nell’infanzia agli spettacoli di Falso Movimento per poi salirsene su per Mercy Chunnigham, Bob Wilson, il Living Theater e soffermarsi a vedere “Institute Benjamenta”, già la visione di un solo frame di questa ultima fatica del Manzi appare “stupenda”. Certo forse il Manzi ha percorso altre strade, certamente le nuove generazioni sono lontane da certi grandi maestri. Eppure se passando per l’Accademia trovo ancora qualche professore che divide l’arte (Wharol) dalla non-arte (Andrea Pazienza), beh allora mi permetto di associare i maestri del passato a questo lavoro del Manzi. In bocca al lupo fratello. Un saluto ad Ezio:)