Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Boicottato, intralciato, isolato, controllato dal KGB che, perquisendo il suo studio fotografico, distrusse i negativi di più di 3 anni di lavoro, costringendo la fabbrica fotografica dove lavorava a licenziarlo, Boris Mikhailov (Charkiv, 1938) è una delle figure più complesse della fotografia contemporanea. Mikhailov ha conosciuto la fotografia per caso, quando, a 28 anni, gli chiesero di girare un documentario sul fondatore dell’azienda per cui lavorava. La passione per quello strumento che gli permetteva di esprimere se stesso, come individuo singolo nella Russia Sovietica, non lo ha mai più abbandonato e nessuna difficoltà si è mai potuta frapporre fra lui e la fotografia, tantomeno il regime. La sua personalità è totalmente rispecchiata nel suo lavoro: beffardo, ironico, eccessivo, disincantato, quasi violento nei messaggi. Una violenza disarmante che, più che scioccati, lascia allibiti, in uno stato di ferma riflessione davanti a scene che sono poco familiari ma su cui l’attenzione non si sofferma. Mikhailov è sempre stato convinto che ci sono cose che diventano reali solo quando sono viste attraverso la fotografia, momenti che solo questa riesce a palesare, costringendo a una comprensione più profonda che dona una sensazione simile a una sorpresa.
La consapevolezza è tra i principali campi di indagine di Mikhailov, ricercata anche attraverso se stesso e l’autoritratto. Mantenendo uno spirito derisorio e sarcastico, l’artista ha pensato che per criticare qualcuno bisogna partire dal proprio io, spinto anche dalla curiosità di osservare ciò che gli avrebbe mostrato la macchina fotografica, una volta puntata su di sé. Il risultato è stato diverso da ciò che si aspettava: non era lui, non quello che credeva di aver fotografato, ciò che osservava era un volto diverso sia da quello conosciuto dalle persone a lui prossime che da quello propagandato dall’ideologia russa. Un intellettuale, non un lavoratore dell’Unione Sovietica ma nemmeno il fotografo da presentare alle mostre e, da qui, si è chiesto: “chi sono io?”.
Nasce così la serie I am not I, da cui è preso il titolo della personale del Madre – a cura di Andrea Viliani ed Eugenio Viola – che inaugura un percorso di collaborazione tra la Fondazione Donnaregina, il Polo museale della Campania, Villa Pignatelli-Casa della Fotografia e Incontri Internazionali d’Arte, una partnership che intende promuovere e sostenere la ricerca fotografica contemporanea.
Il percorso espositivo, composto da 149 opere, inizia con la serie By the ground (1991), con le immagini più dolenti e drammatiche. Racconta l’Ucraina non bella, non pulita, non comoda ma che non si ferma. Mikhailov decide di raccontarla dal basso, da dove sta ripartendo, dallo stesso punto di vista dei barboni, dei reietti, di coloro che sono stati abbandonati. Anche la macchina fotografica è posta in basso, in modo che il punto di osservazione sia uguale per tutti, anche per noi spettatori che, dell’Ucraina, sappiamo poco. Si prosegue con Salt Lake (1986) dove una gioiosa quotidianità da clima balneare si staglia su panorami industriali, restituendo una realtà segreta, tra denuncia di degrado e desiderio di ingenua innocenza. La serie Football (2000) è un cortocircuito della rappresentazione del concetto del “familiare”. L’artista sostiene che le regole esistono per essere reinterpretate e reinventate, per questo il protagonista non è il soggetto del ritratto ma tutto ciò che avviene intorno all’idea del soggetto. Il pallone rimane nella sua funzione di gioco ma solo come strumento per raccontare il legame con sua moglie e suo figlio. Proseguendo, le serie Yesterday Sandwich (1972-1975) e Superimpositions from the 60/70s, dove la sperimentazione arriva alla sovversione delle idee e delle regole attraverso la sovrapposizione fotografica. L’incontro-scontro tra le immagini compone ibridi che danno vita a una terza realtà, più forte e significativa. Nell’ultima sala, alcuni scatti di The Wedding (2005), corpi nudi di anziane coppie nella loro totale naturalezza, ironici, privi di pose artificiali all’interno delle loro abitazioni. Il corpo è stato sempre motivo di grande fascino per Mikhailov, anche perché, per la società sovietica, la nudità era un tabù, non veniva mai mostrata, non esisteva. E proprio con un suo nudo, scattato appositamente per la mostra al Madre, termina il percorso espositivo. L’autoritratto chiude un trittico, ponendosi tra due quadri di Jusepe de Ribera, in prestito temporaneo al museo. Qui il fotografo si mostra invecchiato e dolente, prono verso il basso ma con lo sguardo sempre curioso che non ne tradisce la volontà.
Michela Sellitto
mostra visitata il 12 novembre 2015
Dal 14 novembre 2016 al 1 febbraio 2016
Boris Mikhailov, Io non sono io
Museo D’Arte Contemporanea Donnaregina
Via Settembrini, 79 – 80139, Napoli
Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, dalle 10 alle 19.30, domenica dalle 10 alle 20
Info: 081.193.13.016, mailto:info@madrenapoli.it