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La collettiva Geipeg mette in chiara luce un processo di trasformazione della cultura artistica italiana che appare estremamente preoccupante. I maggiori successi del Made in Italy nel mondo si debbono principalmente ai settori della moda e del Design, cioè ai due ambiti in cui la tradizione figurativa italiana ha potuto generare una maggiore produttività economica.
Fino a quindici anni fa sembrava che, attraverso l’ondata informale (in senso esteso), i successi dell’Arte Povera e del Concettuale, la produzione artistica italiana fosse completamente affrancata dalla moda e dal design, che anzi continuavano ad ispirarsi al mondo dell’Arte sempre figurativamente all’avanguardia.
Lo sfrenato liberismo economico ha profondamente mutato la società italiana, trasformando una cultura diffusa di matrice essenzialmente umanistica in una cultura rivolta alla crescita della produttività economica. Le televisioni private e la dilagante pubblicità con i suoi messaggi subliminali hanno poi educato in tal senso intere generazioni di giovani. Così come la ricerca scientifica, dunque, anche la ricerca di nuovi linguaggi espressivi e figurativi è divenuta possibile solo lì dove v’è un’adeguata disponibilità di finanziamenti. (Perché per finalità culturali lo Stato è assente). Così non è più la produzione artistica ad ispirare la pubblicità o la moda e attraverso questi settori orientare il gusto, ma anzi sono i grandi gruppi editoriali/pubblicitari o le case di moda a finanziare grandi mostre o premi e borse di studio per artisti, orientando la produzione di questi verso i propri scopi commerciali.
La presente collettiva, nella sua pur interessante aspirazione globalistica e multietnica, è un chiaro esempio di questa modificazione del gusto. Del passato è rimasta soltanto una predilezione – in chiave Postmoderna – per il medium pittorico; per il resto gli artisti Debora Hirsch e i DORMICE®, con violento realismo, ritraggono immagini riprese proprio dalla TV, dal cinema, dai rotocalchi, dal mondo della moda, della musica popolare, dello sport; volti e scene, insomma, che ci sono imposte dai mass-media. Unica voce dissonante, ma geniale, appare quella di Vittorio Apa. Questo giovanissimo artista, con un rigoroso lavoro, sovrappone strati di diversi colori su superfici geometriche regolari. Sintesi straordinaria di un vocabolario artistico che unisce antico (la predilezione dei maestri del Rinascimento per le vesti cangianti che restituiscono le forme dei corpi sottostanti) e moderno (le campiture monocrome e regolari di Alan Charlton) i lavori di Apa rivelano, attraverso un gioco di cangianze, tratti imprecisati di un profilo corporeo che si perdono all’interno della regolarità del supporto. La parte più affascinante del suo lavoro, però, che si manifesta nell’intenzione di rappresentare ciò che degli esseri viventi è più inafferrabile, cioè l’anima, si perde completamente nell’accostamento delle sue opere a quelle degli altri artisti (che invece da soli funzionerebbero molto bene), le quali ne esaltano invece l’aspetto superficiale, che potremmo definire – con un termine tanto caro alla Moda – “glamour”.
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Geipeg; Galleria Dina Caròla; Via Orazio, 29. Lun-ven 17_20, tel.081669715, dinacarola@hotmail.com
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