Ha un sapore vagamente baudelairiano il titolo dell’antologica di Gianni De Tora (Italia, 1941), premiata da un successo che ne ha prorogato di un mese la data di chiusura. Allestita nella Sala della Loggia a Castel Nuovo, The world of signs documenta un itinerario creativo lungo quasi quarant’anni in cui, ad onta delle accuse di solipsismo talvolta mossegli, l’artista ha spesso accettato e promosso il confronto dialettico attraverso esperienze collettive, aderendo fin dagli anni Settanta a gruppi come “Geometria e ricerca”, “Gener-Azioni” e “Mutandis”. Sodalizi che hanno guidato e corroborato in maniera determinante – ma non invadente – un già maturo percorso di sperimentazione individuale, coerentemente condotto nell’ambito di un astrattismo progressivamente arricchito da stratificazioni artistiche e filosofiche.
Un astrattismo che negli anni Settanta assume connotati freddi e cartesiani: opere che si mimetizzano col bianco delle pareti e superfici fittamente quadrettate, in cui l’occhio dell’esecutore agisce da prisma, filtrando solo i colori primari.
Negli Ottanta, De Tora abbandona la gabbia ortogonale, dismette il fondamentalismo geometrico per muoversi più liberamente nello spazio e dà l’abbrivo a quella metamorfosi cromatica che si compirà appieno nel decennio successivo, con una deciso incupirsi della tavolozza. “Sequenza 90” e “Trittico 99” sono polittici postmoderni, con sagome nere in cui il colore apre porte, spiragli, finestre, analogamente alle “Ouvertures”, che lasciano intravedere pittogrammi di alfabeti remoti, reliquie di civiltà scomparse che, trasformandosi altrove in tracce di antichi tessuti urbani, rimandano alle radici del Mediterraneo, all’archeologia e al mito.
Lo sviluppo e il consolidamento dello spessore speculativo conseguono un intensificarsi di simbologie, con esiti sofisticati ed ermetici. Il primo stadio di questo processo si affida alla parola scritta: ne “La pittura è scienza” De Tora trascrive Leonardo da Vinci, investigatore dei segreti della natura e teorico di una pittura sublimata come atto eminentemente mentale, di contro al mestiere banausico dello scultore. Altri riferimenti -più o meno appariscenti– sono disseminati tra tele, installazioni, mosaici e pittosculture: l’“ovo-labirinthus”, che compendia due tra i più ricorrenti simboli misteriosofici; quadrati, croci e triangoli, patrimonio di ogni repertorio iniziatico fin dalla notte dei tempi; lo specchio, magico strumento di illusione e riflessione; soprattutto, la “Piramide 2004”, solido esoterico per eccellenza che De Tora carica di valenze emblematiche sotto il profilo personale, condensandovi in forma e colore le componenti fondamentali di una ricerca tuttora in corso.
anita pepe
mostra visitata il 28 febbraio 2004
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Gianni,
una grande mente
vestita di infinita semplicità
come gli uomini migliori
come quelli che insegnano
sul serio
E' BELLO VEDERE IL PROPRIO PROF REALIZZARE UNA MOSTRA CHE HA AVUTO UN COSI' TANTO SUCCESSO.RICORDO ANCORA CON MOLTO PIACERE LE SUE LEZIONI DI PITTURA.COMPLIMENTI ANCORA ED UN SALUTO FORTE DA UNA SUA EX ALUNNA DEL LICEO ARTISTICO.
MI AVREBBE FATTO MOLTO PIACERE CHE LEI FOSSE VENUTO ALLA MOSTRA SU CARLO LEVI NELLA QUALE HO LAVORATO CON TANTA PASSIONE.
IL MONDO DELL'ARTE E' CAPITO SOLO DA CHI L'ARTE ANCHE SOLO PER UNA VOLTA LA INCROCIATA NEL PROPRIO CAMMINO.