Prima prova di Matteo Sanna (Pabillonis, 1984; vive tra Napoli e Roma), in attesa della sua partecipazione alla collettiva Arte e Omosessualità che indagherà a Palazzo della Ragione, a Milano, il rapporto tra creazione artistica e identità omoerotica. È proprio lo spinoso nodo della scoperta della propria personalità e del coraggio di esprimerla in toto il terreno di ricerca sul quale l’artista sardo, in questa sua prima personale, s’incammina. Nodo concettuale problematico, almeno quanto soffocante e autolesionistico è il “nodo alla gola” di emozioni che prende quando si sceglie di ingoiare la propria reale identità anziché permetterle di squarciare il buio, sfondare il muro del “trucco e delle apparenze”, al di là del quale, secondo Sanna, “ci siamo noi, c’è il nostro vero Io”.
Ed eccolo, in Shots In The Dark, il muro del limite –border, appunto- sfondato dagli spari del coraggio dell’essere: un nero pannello di legno in cui i colpi inferti da duecento proiettili incidono, liberando i fiotti della luce retrostante, il motto “follow the leader”, sottintendendo che l’unica vera guida siamo noi stessi. Lo sparo, per una volta non più strumento di morte ma di luce e vita, torna a mostrare come “oltre la superficie c’è sempre qualcosa” in Maybe Tomorrow I’ll Find My Way, tre pannelli lignei del tiro a segno che sconfessano il loro essere originari objets trouvés con la successiva verniciatura bianca, rossa e nera che conferisce loro i colori delle emozioni e una valenza estetica minimal-geometrica.
Le stesse emozioni sono urlate sotto forma di battito intermittente di neon colorati, sincronizzati sulle pulsazioni del cuore dell’artista, in
Inquietanti sono invece le ali dei due neri cherubini baroccheggianti che incorniciano lo specchio di Coma White, pistolettiano invito a integrarsi nell’opera decidendo se svendere o chiedere in restituzione l’anima alla testa di demone centrale, e ancora ultraterrena, ma stavolta serena, è l’atmosfera di Cruel Intentions, simbolica devota sepoltura, sotto forma di kosuthiana vermiglia scritta al neon a forma di tomba, dell’amore finito. È proprio nell’elegante indagine su cromia e luce che la ricerca di Sanna recupera quello che perde nella meccanicità del citazionismo, ed è forse in questa direzione, al di là delle deviazioni delle eterogenee suggestioni giustapposte, che costruisce più intensamente la propria identità.
diana gianquitto
mostra visitata il 21 giugno 2007
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