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10
luglio 2008
fino al 15.IX.2008 Gian Marco Montesano Napoli, Umberto Di Marino
napoli
L’assordante, monocorde canto della violenza. Quando il fanatismo svuota gli occhi e riempie le bandiere, ogni voce è uguale. Montesano dipinge la nauseante monotonia dell’advertising della violenza...
Materia scottante ma raffreddata quella che prende forma sotto i pennelli di Gian Marco Montesano (Torino, 1949; vive a Bologna e Parigi). E mai come ora il lento dipingere a olio, da sempre difeso dall’artista, assume il senso di una prolungata, cerebrale e asettica meditazione, che astrattizza in temi universali un dibattito politico. Il “litigio storico” (Historikerstreit) su nazismo e stalinismo è infatti per Montesano un occasionale pretesto che fornisce materiale iconografico -i manifesti di propaganda bellica- e definizione spazio-temporale -la Germania e la Russia degli anni ‘30 e ‘40- a una ricerca filosofica, dagli esiti quasi semiotici, su come il Male si tramuti in immagine e su cosa sia il Male stesso.
La traduzione operativa di questo fine concettuale in “ragionamento visivo” sceglie, coerentemente con il carattere speculativo dell’indagine, il formato del dittico, come rigorosa forma di raffronto logico tra simboli del socialismo reale e del nazismo. Il percorso espositivo è quindi interamente occupato da coppie di pannelli, quasi identiche nelle misure, che affiancano le fedeli riproduzioni di un manifesto tedesco e di uno sovietico.
Bandiere, stemmi, cingolati, “la città che sale”, militi vigorosi: l’intero repertorio della prosopopea bellica è sciorinato nella sua monotona omogeneità e prevedibile “oleografia”, rendendo inquietantemente simili nella percezione le immagini di guerra alle precedenti vedute da cartolina partenopee di Montesano, e manifestando come, da qualunque parte provenga la propaganda, identiche ne siano le armi: il focus subdolo e populista sulle pulsioni più primitive, la violenza dei colori, l’incisività di composizioni grafiche semplificate e d’impatto.
Tutti strumenti ancora oggi adottati dall’“ideologia dominante” dell’advertising: non per nulla i manifesti bellici sono spesso indicati come antecedenti della grafica pubblicitaria.
Così indistinte sono le immagini tedesche e sovietiche da rendere inavvertita in alcune opere l’inversione tra destra e sinistra delle visioni staliniste e naziste, negli altri dittici posizionate invece secondo il loro schieramento politico. Solo un’allure vagamente più cinematografica differenzia le immagini germaniche dalle più sintetiche e raggiste visioni russe, ma analoghe sono la dominante coloristica rosso-oro, che forza Montesano ad abbandonare i suoi amati monocromi grigi, e la composizione, che ritaglia violentemente le figure da sfondi spesso piatti.
Identica e angosciosa è anche l’assenza di sguardo dei personaggi, che invasati del sacro furore marziale guardano quasi sempre in lontananza, eludendo l’osservatore, o che al più lo fissano con occhi glaciali e inespressivi: inquietante segno dell’avvenuta spersonalizzazione prodotta dall’ideologia, anch’essa del resto svuotata di significato dall’eccessiva reiterazione, quasi pubblicitaria e Pop, del messaggio. Forse il Male per Montesano è proprio questo, la perdita del senso.
La traduzione operativa di questo fine concettuale in “ragionamento visivo” sceglie, coerentemente con il carattere speculativo dell’indagine, il formato del dittico, come rigorosa forma di raffronto logico tra simboli del socialismo reale e del nazismo. Il percorso espositivo è quindi interamente occupato da coppie di pannelli, quasi identiche nelle misure, che affiancano le fedeli riproduzioni di un manifesto tedesco e di uno sovietico.
Bandiere, stemmi, cingolati, “la città che sale”, militi vigorosi: l’intero repertorio della prosopopea bellica è sciorinato nella sua monotona omogeneità e prevedibile “oleografia”, rendendo inquietantemente simili nella percezione le immagini di guerra alle precedenti vedute da cartolina partenopee di Montesano, e manifestando come, da qualunque parte provenga la propaganda, identiche ne siano le armi: il focus subdolo e populista sulle pulsioni più primitive, la violenza dei colori, l’incisività di composizioni grafiche semplificate e d’impatto.
Tutti strumenti ancora oggi adottati dall’“ideologia dominante” dell’advertising: non per nulla i manifesti bellici sono spesso indicati come antecedenti della grafica pubblicitaria.
Così indistinte sono le immagini tedesche e sovietiche da rendere inavvertita in alcune opere l’inversione tra destra e sinistra delle visioni staliniste e naziste, negli altri dittici posizionate invece secondo il loro schieramento politico. Solo un’allure vagamente più cinematografica differenzia le immagini germaniche dalle più sintetiche e raggiste visioni russe, ma analoghe sono la dominante coloristica rosso-oro, che forza Montesano ad abbandonare i suoi amati monocromi grigi, e la composizione, che ritaglia violentemente le figure da sfondi spesso piatti.
Identica e angosciosa è anche l’assenza di sguardo dei personaggi, che invasati del sacro furore marziale guardano quasi sempre in lontananza, eludendo l’osservatore, o che al più lo fissano con occhi glaciali e inespressivi: inquietante segno dell’avvenuta spersonalizzazione prodotta dall’ideologia, anch’essa del resto svuotata di significato dall’eccessiva reiterazione, quasi pubblicitaria e Pop, del messaggio. Forse il Male per Montesano è proprio questo, la perdita del senso.
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Umberto Di Marino Arte Contemporanea
Via Alabardieri, 1 (zona Chiaia) – 80121 Napoli
Orario: lunedì ore 16-20; da martedì a sabato ore 10.30-13.30 e 16-20
Ingresso libero
Catalogo con testo di Nicoletta Daldanise
Info: tel + 39 0810609318; fax +39 0812142623; info@galleriaumbertodimarino.com; www.galleriaumbertodimarino.com
[exibart]
mi piacerebbe vedere una doppia personale montesano abbate.