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Un antico proverbio persiano dice che Esfahān è “metà del mondo”. La città iraniana che si innalza sull’imponente catena montuosa dello Zagros, a 1590 metri sopra il livello del mare, è un tesoro dell’architettura. Anche Jean Chardin, il famoso gioielliere e autore di importanti resoconti di viaggio, rimase senza parole, quando vide le più di 50.000 luci che, al calar del sole, si accendevano nella colossale piazza Naqsh-e-Jahan, illuminando le facciate dei sontuosi palazzi, animate da colorate piastrelle di maiolica.
Maziar Mokhtari (1980) vive da tempo in Italia – si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma, nel 2009, ed è stato tra i finalisti del Talent Prize, nel 2013 – ma la potenza luministica della sua città natale è la visione che ne pervade la ricerca, incentrata sullo studio delle superfici definite dalla luce. Una vexata quaestio della pratica artistica, dai contrasti del Barocco alle elaborazioni degli Impressionisti, fino ai verismi dei Macchiaioli e della Scuola di Resina. Nelle installazioni ambientali di Mokhtari, però, la luce non è struttura che scandisce l’estensione, definendo la successione dei piani con l’immaterialità del suo elemento, ma diventa mitologia della complessità culturale iraniana, immagine tattile del racconto storico cristallizzato in schemi percettivi.
Così, per la mostra che ha inaugurato la nuova sede espositiva di Dino Morra, a cura di Chiara Pirozzi, l’artista iraniano è intervenuto nello storico ex Lanificio militare, a ridosso di Porta Capuana, avvolgendo tutti gli spazi della galleria con teli industriali tappezzati di un pigmento giallo e granuloso, come sedimenti di un deserto sabbioso. Un impacchettamento, visto da una prospettiva interna, che ricopre la stratificazione esperienziale della cornice per importarne un’altra e creando, ex abrupto, un ambiente narrativo immersivo, fuori limite e, a tratti, spaesante.
In questo spazio totalizzante della rappresentazione, Mokhtari inserisce ready-made composti da innesti tra manichini, bottiglie contorte dal calore, specchi e corone di fiori, assemblaggi di materiali plastici posti in corrispondenza di nicchie e rientranze, che frammentano il ritmo con simboli del vissuto, richiami culturali e cultuali, illusioni ottiche di circolarità. Nell’incanto dell’artificio, nella finzione delle campiture dorate e nel rumore di fondo del dialogo visivo, tra rifrazioni mistiche e interferenze del quotidiano domestico, il luogo è destinato a scomparire, sovrascritto dall’incedere vorticante di un’alterità che impone la sua connotazione simulativa, come una realtà aumentata, improvvisamente giustapposta alla concretezza delle cose.
L’incontro tra i mondi è una tendenza caratterizzante della zona di Porta Capuana, un rione di Napoli in cui culture diverse, accomunate dalla “porosità barocca” della città – nella fortunata definizione di Walter Benjamin e Ernst Bloch – sono riuscite a creare un insieme felicemente disarmonico, tra partite di cricket improvvisate e bancarelle di mercatini rionali. Inoltre, prima della soppressione dell’ordine dei domenicani voluta da Murat, nel 1809, e delle conseguenti modifiche strutturali, l’area del Lanificio faceva parte del chiostro della Chiesa di Santa Caterina a Formiello. Un atipico esempio di archeologia industriale di epoca napoleonica, sorto sulle fondamenta di un edificio religioso rinascimentale. Per segnare la data simbolica della mostra inaugurale, sarebbe stato interessante ragionare approfonditamente sulle specificità del luogo, invece di simularne uno effimero, ma c’è da scommettere che tali sollecitazioni non passeranno sottotraccia.
Mario Francesco Simeone
Mostra visitata il 25 marzo
Dal 26 marzo al 15 maggio 2015
Maziar Mokhtari, Ceremony
Dino Morra Arte Contemporanea
Piazza E. De Nicola, 46 – 80139 Napoli
Orari: dal martedì al venerdì, 10.00-12.30 / 16.00-19.00; sabato, 10.00-13.00.
Info: morra.dino@gmail.com