Dopo Dago, la Galleria di Franco Riccardo insiste sul tema della terra e delle sue forze ed ospita una personale di Claudia Burgmayer Papagno, nome che tradisce una doppia origine insieme napoletana e tedesca. L’artista appena trentenne mostra una sicurezza espressiva che contrasta con la maniera schiva con la quale accoglie la critica durante la vernice. Il tema di riferimento specifico è la terra bruciata (verbrannte erde), rappresentata in una serie di tele ricoperte di pigmento rigorosamente naturale secondo la scelta dell’artista, diffuso sui quadri in maniera non prestabilita, a volte in rilievo, di uno spontaneo selvaggio tale da richiamare tutto l’espressionismo teutonico, corrente che continua a fare scuola tra i nuovi artisti. Dar spettacolo alle viscere della terra in fermento sono il pretesto per tirar fuori i propri sentimenti non mediandoli con la forma, ma evidenziando con cura tutte le differenze cromatiche fino a creare una vera e propria mappa dell’anima, dalla quale non si può fuggire.
L’idea di un magma che simboleggi l’origine del mondo, le forze ignote della natura dentro e fuori di sé non è nuova per Napoli tappa del Gran Tour già alla fine del ‘500, quando scrittori, artisti e avventurosi viaggiatori dal nord europa scoprivano il rinascimento italiano il gusto classico intriso anche dalla esoticità di una eruzione vulcanica; diceva Goethe sulle pendici del Vesuvio: “Acque bollenti, crepacci esalanti zolfo, monti di scorie opponentesi alla vegetazione, spazi deserti e repulsivi, eppoi una vegetazione sempre florida che s’afferma ovunque….sulle pareti di un antico cratere”. Burgmayer ricalca a ritroso questo sentiero verso l’origine e la riscoperta della natura umana con una esplosione di colori liberamente armonizzati.
Seppur giovane l’artista, che ha studiato pittura con Hanna Neureuther, ha già esperienze di insegnamento come assistente ai corsi di pittura dei Zhou Brothers ed i lavori presenti a Napoli hanno una discreta valutazione (tra i quattro e gli otto milioni)
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