Il rapporto dialettico tra cultura americana ed europea sembra personificato da Julian Schnabel, cresciuto a New York ma di anima e sentimenti latini. Sposato con una spagnola, vincitore acclamato nei festival di cinema con Before Night Falls -biografia dello scrittore ed esule cubano Reinaldo Arenas– e con Basquiat, sulla vita maledetta del più famoso artista nero della storia, Schnabel è innamorato di tutto ciò che è mediterraneo. Come il calore delle luci e dei colori che è capace di restituire con una sensibilità spasmodica e con ineguagliata capacità. Indifferentemente sulla tela e sul grande schermo. Sembra perfettamente a suo agio, qui nel nuovo padiglione latino americano della Mostra d’Oltremare che da ora in poi sarà per Napoli una sorta di kunsthalle, in grado di sviluppare programmi adeguati ai principali protagonisti dello scenario internazionale.
“Questa architettura” dice l’artista “mi ricorda quella edificata dal regime di Castro a Cuba, entrambe sono i modelli utopistici del fallimento di un ideologia: quella comunista a Cuba e quella fascista a Napoli”. Le superfici dei quadri, esposti in questa unica tappa italiana di un tour europeo (Schirn Kunsthalle di Francoforte e Reina Sofia di Madrid) sono monumentali, i lavori più recenti superano i sei metri per sei, i materiali applicati sulla tela sono i più disparati.
Nell’intreccio tra figurazione, astrazione e decorazione, i frammenti hanno un valore quasi concettuale rifacendosi da un lato all’operazione del Ready made di Duchamp e dall’altro richiamando certe soluzioni tipiche dell’Arte Povera. Si va dai Plate paintings che lo hanno reso famoso alla fine degli anni ’70, ai più recenti della serie Los patos del Buen Retiro dipinti su sontuosi velluti rossi che sono un omaggio alla Spagna e alla cultura del Seicento.
“Guardare un mio quadro è come caderci dentro” afferma Shnabel in uno slancio di vitalità “Voglio che lo spettatore compia un viaggio, riporti sensazioni e cose”. La tendenza non figurativa contiene in sé molti elementi della figurazione, come nei suoi più recenti grandi dipinti “Large Girl with No Eyes” 2001 e “Chinese Painting” 2003. Qui l’artista reinventa un sistema di segni che, sebbene morfologicamente simile e discendente da quello della pittura europea, ha una diversa carica di significato. La sua pittura, vitale e generosa, riformula un’iconografia astratta, un vocabolario di segni che si compongono secondo strane leggi sintattiche: un’iconografia che ritroveremo animata, talvolta vitalmente aggressiva nei film che lo hanno fatto conoscere a un pubblico ancor più vasto. Si delinea così la figura dell’artista come attivista, un uomo d’azione, culturalmente impegnato, che nel suo modo d’agire dà voce al diverso e all’emarginato, a chi viene socialmente messo da parte in nome del modello culturalmente imperante. Così la parabola esistenziale di Basquiat e di Reinaldo Arenas, anche se tragica, rappresenta un modo di esistenza autentico del tutto diverso da quello che la società americana ha eletto come proprio ed esemplare modo di vita.
maya pacifico
mostra visitata il 29 novembre
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