Tutta da vedere, ascoltare e assaporare. E’ così la mostra sul lavoro preparatorio (dei disegni e una proiezione video) per la messinscena de Il flauto magico, allestita al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles e in programma per la chiusura della prossima stagione operistica del Teatro San Carlo di Napoli. Gli amanti di William Kentridge, ma non solo loro -anche i melomani più accaniti- non temano delusioni.
In una scatola scenica che, secondo tradizione, cela i trucchi del mestiere, Kentridge, mediante una doppia proiezione, dà vita all’alternarsi delle scene, alle vicende delle ore, al passaggio ombra-luce, essenza della partitura mozartiana. In scena c’è anche l’artista che, novello Papageno, si fa signore degli uccelli, gioca con loro, ed è la sua stessa ombra a disegnarli ed a farli sparire.
L’allestimento è un pullulare di simboli massonici: il cerchio solare con i raggi che ne fuoriescono, il terzo occhio all’interno del triangolo, la luce che squarcia l’ombra delle tenebre, la scala come ascesa verso la conoscenza. Ma ad alcuni di questi Kentridge dà una nuova lettura, secondo un codice tutto interno alle arti visive: la rappresentazione si apre e si chiude con una camera oscura che proietta, ribaltandole, le immagini del mondo; l’occhio della coscienza, il terzo occhio, si trasforma in obbiettivo fotografico, ed è attraverso questo, come metafora delle arti visive, che l’artista suggerisce di raggiungere la conoscenza.
Un’operazione non dissimile da quella attuata da Mozat con Il flauto magico: è con l’aiuto di uno strumento musicale fatato, metafora della musica, che l’uomo raggiunge la piena coscienza di sé, passa dalla notte al giorno, dal buio alla luce.
Finalmente a Napoli un Kentridge di alta caratura rispetto alla marginale presenza, con un lavoro piccolo e poco rappresentativo, alla mostra The Giving Person, che ha inaugurato, lo scorso aprile, il civico Palazzo delle Arti.
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giovanna procaccini
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