Di
Olivo Barbieri (Carpi, 1954) fotografo si ammira il bilanciamento austero e monumentale delle inquadrature in bianco e nero. Di Olivo Barbieri videomaker si gustano la versatilità cromatica e il ritmo sincopato, usati per manipolare una pellicola di culto come
Scarface. Si fa in due l’artista emiliano per il debutto della trilogia
Uno sguardo da Capodimonte, uno sguardo su Capodimonte -che vedrà in campo altri due obiettivi eccellenti:
Craigie Horsfield e
Mimmo Jodice-, accantonando addirittura se stesso per rispetto della committenza (anche se il Soprintendente al Polo museale napoletano Nicola Spinosa preferisce parlare di “
reazione” e “
provocazione”). Noto infatti per le vedute metropolitane a volo d’uccello, Barbieri zooma qui su un campione di 14 immagini (dodici in bianconero e due a colori) paradigmatiche di altrettanti generi, scelte dopo aver setacciato l’Archivio fotografico della pinacoteca. Riproduzioni di riproduzioni che, in ossequio al rimbalzello filosofico di un’arte replica di stessa, ne catturano a distanza ravvicinatissima graffi, impronte, scalfitture, screpolature: particolari macroscopici che, tra iperrealismo e documento, mostrano i tesori delle collezioni come oggetti,
materia vulnerabile e vissuta.
Difficile credere che un così severo e compatto percorso possa esplodere fragorosamente in un bagno di sangue. Eppure avviene nel prosieguo, quando le macchine -fotografica e da presa- tornano alla contemporaneità per puntare sulla confiscata villa di Walter Schiavone, fratello del famigerato capoclan Francesco, detto “Sandokan”: 850 metri quadrati su tre livelli, circondati da 3400 di giardino con immancabile piscina, destinati, stando alle promesse istituzionali, ad accogliere un centro sportivo e riabilitativo per disabili.
Un delirio edilizio ispirato al capolavoro di
Brian De Palma, solo che questa “Hollywood” è di cemento, non di cartapesta, e con tanto di scala a tenaglia, tale e quale a quella da cui Al Pacino/Tony Montana precipita dopo la mattanza finale. Ed è proprio sui fotogrammi degli ultimi tre minuti del film che Barbieri concentra le proprie attenzioni, attraverso interventi pittorici che ne accelerano il cruento dinamismo e ne esasperano i toni, avvincendosi a un immaginario locale pregno di barocchismo.
Site specific per questo ed altro: non solo perché l’eccidio cinematografico si consuma tra le copie degli affreschi pompeiani di Villa dei Misteri, ma anche perché l’ibrida rielaborazione di questo classico di celluloide ricorda il mix tra cronaca nera e romanzo di
Gomorra, il best seller di Roberto Saviano citato nell’articolo del “Guardian” che ha fatto scoprire all’artista questo simbolo della pacchiana megalomania camorrista, che si circonda di pompa nel degradato deserto dell’hinterland. Un meschino parossismo d’onnipotenza, ridicolizzato riprendendo nel titolo
TWIY. The world is yours la scritta lampeggiante sulla fontana di
Scarface.
Evidente la disomogeneità fra le due tranche della mostra, nonostante lo stesso autore individui un nesso nella distorsione del concetto di
committenza e tracci un parallelismo tra icone di ieri e miti di oggi. Tronconi, in ogni caso, entrambi sviluppo di un’interpretazione fedele della consegna: da una parte ciò che lo sguardo ha colto nel museo, dall’altra ciò che questo stesso sguardo è andato a cercare fuori. Strabico, ma acuto.