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fino al 18.I.2009 | Jan Fabre | Napoli, Piazza Plebiscito

di - 14 Gennaio 2009
Jan Fabre (Anversa, 1958) è un grande. Come tutti quelli che sono passati di qui prima di lui. Anche quest’anno, piazza del Plebiscito ha “sparato” il Nome. Anzi, l’ha scagliato nel firmamento. Perché il fiammingo è eternauta tragico e generoso, nocchiero alla deriva nel tempo e nelle scienze, evocatore di idilli inquietanti e perversi. Che la stella ce l’ha sulla walk of fame dell’arte, e incollata alla porta del camerino, animale da palcoscenico seppur dietro le quinte.
Così, sei mesi dopo la sua incursione ruvida e mozzafiato al Teatro Festival Italia, eccolo di nuovo a Napoli contro un fondale bell’e pronto. Preoccupato non di riempirlo, ma di animarlo. Uniformandosi però all’atteggiamento dei suoi illustri predecessori. Ovvero non con progetti genuinamente site specific, ma col riadattamento di vecchi lavori o soliti concept. Inutile brontolare, meglio vedere il rovescio della medaglia: quando si vedrebbero altrimenti certe cose da queste parti?
Ma se le installazioni natalizie, dopo i fuggevoli “anni d’oro” dell’entusiasmo e della partecipazione (e fa rabbia e tenerezza il ricordo che ne affiora in Scuorno, bell’instant book di Francesco Durante, della serie “non solo gomorra”), erano diventate un’abitudine alla quale nessuno ormai faceva troppo caso – manco quei mestieranti della polemica che, col pretesto della communis opinio, rimestavano nel faceto pur di distrarre dal serio -, l’intervento di Fabre coinvolge con una doppia impostazione: palese e defilata, interattiva e irraggiungibile. Ambigua, come la finta finzione del teatro.
E come lo scorso anno grandi e piccini si divertirono a scorrazzare sul vasto Mediterraneo di Pistoletto, tanti non hanno rinunciato alla foto ricordo accanto a L’Homme qui écrit sur l’eau in una fuga di vasche, come un Marat assorto nelle ultime, inutili volontà; o all’Homme qui donne du feu, Prometeo quotidiano in trench che, più che dispensare, protegge la sua vacillante fiammella (dato il contesto, non poco simbolica).
Quanti, però, avranno notato L’Homme qui mésure les nuages e L’Astronaute qui dirige la mer? L’uno si libra sul colonnato della chiesa di San Francesco di Paola, l’altro si erge su una terrazza di Palazzo Reale. Una regia “sconfinata”, che non invade il set neppure quando gli si conficca nel cuore con L’Homme qui pleur et rit su un piedistallo da monumento sovietico, azzeccata incarnazione dello spirito di una città che “chiagne” e contemporaneamente si sollazza.
Possenti mimi di strada che, con un cortocircuito non proprio inedito, si scoprono essere veramente statue (con qualche minimo congegno meccanico). Calchi a immagine e somiglianza dell’artefice, “rinascimentale” nel recupero dell’atavico immaginario fiammingo, e soprattutto per la professione di fede nell’homo mensura.

Scommessa prometeica pericolosa, che plasma la divina sostanza dell’arte nella forma feriale d’una creatura che, pur colata in bronzo massiccio, nacque pur sempre da un impasto di fango.

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anita pepe
installazione visitata il 22 dicembre 2008


dal 20 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009
Jan Fabre – Il ragazzo con la luna e le stelle sulle testa
a cura di Eduardo Cicelyn e Mario Codognato
Piazza Plebiscito – 80132 Napoli
Info: tel. +39 08119313016; www.museomadre.it

[exibart]

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