Alicia Frankovich (Tauranga, 1980) è un corpo teso che anagramma le leggi di gravità del corpo umano. Acrobazie semiotiche e azioni fisiche, documentate con registrazioni video e stampe fotografiche. Cimeli e tasselli concettuali catturati per le strade di Melbourne, Dublino e lo stesso spazio espositivo con
Pike (2008), la migliore delle opere in mostra, che accosta scatti: da un lato, la mezza figura che cattura le gambe femminili che eseguono un “
pike”, il carpiato con le ginocchia tese; dall’altro, la fotografia di uno spartitraffico arancione.
Lo stridìo tra carne e asfalto come gesso su lavagna e l’impossibile ascensione del corpo zavorrato alla colata di cemento. L’artista neozelandese ha forse sfiorato con la sua chioma la pavimentazione in via Santa Brigida quando, legata a testa in giù, si è fatta calare dal quarto piano della galleria, in assetto da bungee jumping.
La documentazione video della performance eseguita
in situ prima della vernice è stata presentata insieme ad altri due filmati.
Fly/Lose (2008) è un esercizio di moviola che mostra il corpo imbracato dell’artista dondolante, che cerca il contatto verso terra. L’uomo nudo non può volare e la traiettoria del corpo segue sempre la direzione “top-down” come nelle cadute acrobatiche del cinese
Li Wei.
La fotografia di
The Opposite of Backwards, che testimonia dell’azione di Frankovich, è stata attaccata capovolta alla parete. La spinta motoria ivi scomposta è respinta invece, dal campo visivo nella registrazione di
Luna (2007), in cui un impassibile punto di ripresa warholiano si accontenta di inquadrare il tetto di un edificio milanese.
Nella documentazione fotografica di
GPS (2007-2008), il corpo pendolare dell’artista, regolare come un dispositivo oscillante, procede dalla periferia in direzione del suolo. Frankovich si perde in una passeggiata urbana a Melbourne da 18 minuti e mezzo, che delinea a mezzo grafico la sua traiettoria pedonale sull’interfaccia del sistema GPS. E il documento alle pareti è un grafico picabiano che serve da richiamo alla componente
land art nella sua produzione. Il romanticismo esplorativo di un
Richard Long aggiornato e mappato con un navigatore satellitare.
È evidente che il corpo performante dell’artista voglia lasciare traccia di sé. Lodevole è lo sforzo complessivo di cercare nuovi incroci fra traiettorie segniche e percorsi muscolari, prescindendo dalla natura del supporto sul quale vengono documentati.