Solitudine e spostamento. Sono questi i due termini su cui
è incentrato il lavoro fotografico di
Alessandro Giuliano. Lo spostamento lo ha sempre
interessato, fin da quando sognava di viaggiare nascosto su una nave per
immergersi nella riserva onirica dell’immaginazione. Una volta adulto, ha fatto
del viaggio una professione, che lo ha portato a raggiungere i punti più
disparati del mondo. Un modo per tenere lo sguardo sempre vigile e la mente
sgombra ad accogliere le sue visioni.
Nasce così il progetto
Scie di passaggio, esposto a Roma nel 2008 e
presente anche in questa mostra. L’allestimento tende a coinvolgere lo
spettatore nella rivelazione di un livello ulteriore di realtà: le fotografie,
anziché essere semplicemente appese alle pareti, sono inserite in contenitori a
forma di parallelepipedo, una sorta di visori su cui lo spettatore deve
focalizzarsi per scorgere l’immagine illuminata. In questo modo l’artista
costringe chi guarda a un’estrema verifica, come per riflettere sulla certezza
dello sguardo.
I luoghi, del tutto anonimi, sono quelli che ogni
viaggiatore ha visto in ogni parte del mondo, luoghi di passaggio: corridoi,
hall, sale d’aspetto, cabine d’aereo, dove in genere non si lasciano tracce
esistenziali o, se si lasciano, vengono subito cancellate. Il silenzio, lo
spazio, l’altrove, per rappresentare lo scenario perfetto della solitudine; non
ci sono abitanti in questo mondo o, se ci sono, non sono riconoscibili.
Alessandro Giuliano ha vissuto sempre in astratto rispetto
ai contesti, si è mantenuto al di fuori del coinvolgimento emotivo, mostrando
solo la capacità di appropriarsi di una realtà che già esiste e che solo la
macchina fotografica può rivelare.
Una decina di foto a colori e di grande formato fanno
parte del suo lavoro più recente intitolato
Self Contained. Immense navi cargo, bastimenti
commerciali e trasporti per container diventano soggetti assoluti di queste
foto accostate in maniera sorprendente: alcune sono in primo piano, altre si
stagliano sull’orizzonte di un mare infinito. È come il manifesto visivo di
un’epopea mai raccontata, che si rinnova implacabilmente lungo tutti i mari,
sotto tutti i soli.
I colori sono brillanti e conferiscono all’immagine una
patina d’irrealtà, ma è quel tipo di perfezione che conduce solo alla
solitudine. La solitudine del viaggiatore, dove la vita non è altro che una
vertiginosa imminenza per colui che non ha più niente da tentare.