Quello che, di solito, non si può fare con un’opera d’arte, al numero civico 138 di Via dei Tribunali, a Napoli non solo è consentito ma doveroso. Nonostante i molti tentativi di introdurne l’utilizzo nelle mostre, il tatto rimane un senso poco sviluppato nel campo di esperienza dell’oggetto artistico. Inutile nascondersi dietro a un dito e, senza timore della psicoanalisi o di sanzioni alle intenzioni, si deve ammettere che a tutti piacerebbe girare quella ruota di bicicletta, accarezzare quel ragno di pelo acrilico, percorrere con la mano il vuoto di quel concetto spaziale o qualunque altra cosa definita e validata dal sistema dell’arte.
Per toccare l’immagine fotografica, bisogna recarsi al decumano maggiore, nel centro storico partenopeo – che, ultimamente, pare stia vivendo una ennesima giovinezza – e bussare a Luciano Ferrara. Il fotografo napoletano, da sempre in prima linea nella ricerca sulla fotografia di impegno civile, ha trasformato il suo domicilio in un laboratorio aperto e il contrario, un luogo di transito nel quale i modi e i tempi del quotidiano, della sperimentazione, della creazione e della fruizione si ibridano e confondono senza soluzione di continuità, nell’atmosfera sospesa tra gli scorci del Pio Monte della Misericordia e del Duomo.
Allora, sono le immagini di Eduardo Castaldo (1977) ad aprire questo nuovo percorso di vita e di sperimentazione, con la presentazione di una serie di reportage sulla rivoluzione egiziana, sulla primavera araba, sul conflitto tra Israele e la Palestina, quegli gli eventi ipertrofici, spettacolarizzati, che compaiono sulla superficie piatta degli schermi delle televisioni e degli smartphone. In questo caso, però, le fotografie sono stampate su grandi e resistenti pannelli e non sono ieraticamente attaccate alle pareti, ma addossate sul pavimento, accatastate come in un archivio da esplorare e possono essere prese, maneggiate in ogni loro parte, viste da qualunque prospettiva.
Un rovesciamento del rapporto medium-fruitore, verso lo spaesamento dell’informazione che, per una volta, può essere toccata nella sua forma concreta di oggetto documentario, orientata individualmente, scegliendo di concentrare la propria attenzione su quell’angolo del palazzo o su quell’ombra nascosta, su quel volto specifico tra la folla urlante o su quel manifesto, sull’arredamento che si indovina oltre le tende di quella finestra. Ognuno dei singoli particolari che compongono la realtà può diventare oggetto di attenzione, l’obiettivo di Castaldo punta a strutturare una visione non estetizzante, centrata non tanto sull’armonia delle forme ma sul fatto nudo, viscerale. La storicizzazione della notizia diventa un atto intimo e fisico, una conquista dei processi interpretativi e un’analisi sulle modalità di trasmissione del fatto. Come nel caso della fotografia sul massacro dei tifosi dello Zamalek – una società polisportiva con sede a Giza, sobborgo del Cairo, la cui squadra calcistica è tra le più prestigiose del continente africano – sulla quale si invita a intervenire con un pennarello, nel caso non si fosse già stati a conoscenza della notizia. Un fatto grave e recentissimo, avvenuto a febbraio 2015, ma passato sottotraccia sugli organi di informazione occidentali. Insieme a chissà quante altre stragi, destinate a rimanere senza nome, senza immagini.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 27 marzo
Dal 27 marzo 2015 al 19 aprile 2015
Eduardo Castaldo, Erased
Tribunali 138. Spazi della fotografia
Via dei Tribunali, 138 – 80139, Napoli
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