Ancora sperimentazione sul tema della scultura. Ed è di nuovo una donna a dare prova di come si può giocare con la tridimensionalità. Dopo aver ospitato le sculture di luce di Ann Veronica Janssens, la galleria di Piazza dei Martiri accoglie la statunitense Rita McBride (Des Moines, 1960; vive a New York e Dusseldorf).
Ma, mentre la plastica luminosa della prima saturava l’ambiente con la sua presenza -seppure impalpabile- il lavoro della McBride invade poco lo spazio, occupandolo con discrezione. Nove lastre d’acciaio dai profili squadrati e traforate da triangoli, ellissi, cerchi, sono addossate alle pareti in un gioco di parziali sovrapposizioni. Un dittico in vetro temprato, dalla sagoma sinuosa, è sorretto da un gancio che lo lascia libero di dondolare, tracciando nell’aria incorporee volute. Battezzate coi termini tecnici templates e curves, queste sculture sono a tutti gli effetti “mascherine di progettazione” e “curvilinei” moltiplicati in scala, di quelli che si adoperano negli studi dei designer per creare ogni possibile geometria. Al limite col design, la scultura della McBride tradisce una formazione da architetto. La tridimensionalità che scaturisce da questi lavori però, è più mentale che fisica, poiché la forma non si palesa ma resta racchiusa in nuce. In effetti, ciò che interessa all’artista non è tanto il risultato, l’esito materiale dell’atto creativo, ma piuttosto il processo, o meglio, il progetto e gli strumenti che lo rendono realizzabile. Quest’idea -che ha il suo antenato concettuale nella filosofia optical per l’attenzione rivolta agli schemi progettuali e di elaborazione dei prodotti seriali- costituisce l’elemento portante della produzione della McBride.
Minimalista nella scelta delle forme e dei colori –un geometrismo nelle tonalità del grigio– l’artista si lascia andare ad una maggiore fantasia cromatica nelle stampe a getto d’inchiostro, dove, nelle nuance dell’arancio e del viola i drafting templates diventano immagini puramente astratte, quasi a voler andare ad uno stadio ancora più larvale della progettazione. Tuttavia è inevitabile che nella trasposizione grafica e bidimensionale la forza espressiva e volumetrica promanata dai lavori plastici vada ad attenuarsi. Una scultura potenziale quindi, che lascia spazio al fruitore di immaginare quale oggetto possa nascere attraverso l’utilizzo (virtuale) di quegli attrezzi. E il pensiero compie un viaggio a ritroso, portandosi al tempo in cui, da bambini, ci si divertiva ad usare gli stencil per disegnare acerbe figure geometriche.
mara de falco
mostra visitata il 12 maggio 2007
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