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Circa cinquanta artisti di ogni età, provenienza e linguaggio, trovano ospitalità al Grand Hotel. Non ci sono letti comodi, né scintillanti reception, tantomeno candidi ristoranti, perché quel luogo in cui l’altrove è una condizione quotidiana viene isolato nella sua etimologia, ridotto a una costruzione senza spazio, puramente semantica. Ne rimane solo una parola composta, derivata dal francese, che mantiene un’esperienza vaga del divenire e si estende su zone diverse.
Il progetto espositivo itinerante – nato nel 2015 da un’idea di Elena El Asmar, Serena Fineschi, Marco Andrea Magni e Luca Pancrazzi – arriva a Napoli, al Riot Studio, nello storico Palazzo Marigliano, dopo essere stato a Milano e a Siena, portando una raccolta di indizi sui processi di formazione dell’idea, prima che questa trovi un punto di arrivo nella solidità dell’opera d’arte. Così, come in una sorta di tempio o di laboratorio, sono disposti decine di oggetti, presi dal luogo topico dell’atto creativo, dagli studi di Stefano Arienti, Alessia Armeni, Susanna Baumgartner, Emanuele Becheri, Bianco-Valente, Vincenzo Cabiati, Mirko Canesi, David Casini, Antonio Cavadini, T-Yong Chung, Claudio Corfone, Jaya Cozzani, Alessio de Girolamo, Fabio Cresci, Mario Dellavedova, Marta Dell’Angelo, Elisabetta Di Maggio, Raffaele Di Vaia, Elena El Asmar, Serena Fineschi, Orietta Fineo, Joao Freitas, Federico Fusi, Michele Guido, Giovanni Kronenberg, Francesco Lauretta, Loredana Longo, Claudio Maccari, Elisa Macellari, Marco Andrea Magni, Andrea Marescalchi, Amedeo Martegani, Corinne Mazzoli, Franco Menicagli, Jacopo Miliani, Concetta Modica, Adriano Nasuti-Wood, Agostino Osio, Pierpaolo Pagano, Cristiana Palandri, Luca Pancrazzi, Pantani-Surace, Luca Pozzi, Luigi Presicce, Museo Riz à Porta, Filippo Romeo, Remo Salvadori, Luca Scarabelli, Giuseppe Teofilo, Eugenio Tibaldi, Sophie Usunier, Enrico Vezzi, Virginia Zanetti, Wurmkos.
Su un lungo tavolo di legno e su una mensola del caminetto, fissati su un muro, prelevati dall’ambito quotidiano del lavoro e introdotti in una scenografia minimale di sospensione del dubbio, ci sono materiali da agire. Vetro, plastica, ferro, tessuto, carta, quaderni fitti di appunti e biglietti, un casco di sicurezza giallo, una statuina vintage della Michelin, sono elementi densi di estetiche precise e ricercate, in cui i ricordi individuali si incrociano con la sensazione di un’intimità industriale, con racconti incompiuti. Le persone sfilano intorno al tavolo, incalzate da una memoria errante e indotta che esorta a performare il rito della curiosità, manipolando, premendo, ruotando, cambiando posizione, scandendo il processo di una conoscenza verso le prime cose. La patina dell’usura, gli angoli smussati, rinnovano l’idea romantica del relitto. Nell’oggetto assemblato, consumato, messo in secondo piano ma, adesso, esposto come idolo d’uso, feticcio di altri luoghi e altri individui, c’è l’avvertimento di un codice che è lì per essere interpellato. Depositario di significato e di una storia, l’oggetto viene scavato, alla ricerca di una referenza che, infatti, viene in superficie.
Il percorso è chiaro, la direzione è indicata con precisione dalle didascalie sulla piantina. In questa genealogia celebrativa delle funzioni dell’artista, in questo archivio dove risiedono le tracce di un processo, ogni cosa occupa una posizione determinata ed è identificata da un nome proprio, sfavillante di individualità. Sono forme categorizzate, intervenute nella latenza percettiva e interpretate come tentativi d’opera provenienti da un luogo e carichi di aura. La dinamica senza direzioni del processo creativo, quella struttura di persistenze invisibili, di cui non esistono definizioni e che sembra sempre negarsi, si cristallizza in un oggetto saturo, posseduto da qualcuno e allestito in un contesto riconoscibile, dove tutto è dove deve essere e ogni azione si svolge secondo modalità e tempi circoscritti. I segni sono indicati con sicurezza, gli oggetti si rendono disponibili a essere indagati in un rapporto uno a uno, diventando, così, opera d’arte a tutti gli effetti.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 12 novembre 2015
Dal 13 novembre al 2 dicembre 2015
Grand Hotel
Riot Studio
Via San Biagio, 39 – 80138, Napoli
Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 13 e dalle 15.30 alle 18.30. Sabato su appuntamento
Info: info@riotstudio.it