Arazzi e performance. Due happening espositivi diversi per
due spazi museali, con un risultato unico: l’indagine sull’essere umano alla
ricerca della terra promessa, dai paesi biblici a quelli comunisti, in un mondo
che di reale ha solo l’assurdo.
L’onda emigratoria di
William Kentridge (Johannesburg, 1955) è sbarcata
al secondo piano del Museo di Capodimonte, portando nove arazzi
oversize e una serie di disegni e sculture
in bronzo, mentre al Madre si è tenuta
I am not me,
the horse is not mine, lecture-performance di cinquanta
minuti con tanto di standing ovation finale nella sala polivalente interamente
tappezzata di pubblico.
Un altro white cube è stato ricreato a Capodimonte, dove
l’allestimento degli arazzi – di manifattura Goblin, realizzati nel laboratorio
di
Marguerite Stephens – ha sbiancato le pareti, aumentato il voltaggio della luce e
smantellato gli arazzi cinquecenteschi che celebrano la vittoria di Carlo V
durante la battaglia di Pavia, donati dal marchese d’Avalos allo Stato italiano
nel 1862.
Terreno di battaglie dinastiche, sopraffazioni e lotte
civiche è il Regno di Napoli rivissuto da Kentridge attraverso la cartografia
prodotta dal XVIII alla metà del XIX secolo, come le tavole di Saint-Non e del
Rizzi Zannoni. Una donna nuda – dai contorni leggeri come un acquerello – è
sovrastata dal Naso, che nega la vista sulla regione campana. Un cavaliere,
sagoma nera di Quijote, cammina trionfante sui brandelli di San Pietroburgo,
mentre il suo Ronzinante passa oltre la
Campania Abbruciata nel 1845.
Sono i nuovi protagonisti, le “
figure equestri
antieroiche”
di Kentridge, che percorrono la scia delle migrazioni intrapresa in
Portage nel 2001. Immagini costruite come
un collage, per elencazione verticale di strati di fogli, cartoncini, ritagli,
nastri e poi, osservate a distanza, appaiono nel loro insieme ancor più
grandiose, più forti nell’essere divenute luoghi di speranze spesso tradite. Il
volto di Marx, trascinato come un brandello utopico ormai lacerato, le ombre
nere in Palestina, terra di conflitti e soprusi, sono tessuti richiamando le
forme di
El Lissitzky, artista russo dell’avanguardia, i cui segni grafici ritornano nella
video-scenografia della performance.
Divertente, perché Kentridge gioca col suo doppio, irreale
e più assurdo del Naso che dichiara indipendenza dal suo padrone, l’ispettore
Kovaliov del racconto di Gogol. Una trama a ritroso indaga sull’origine della
storia, ma si sposta in conclusione a un’amara presa di coscienza sulla “
tragica
fine dell’avanguardia russa“, mentre l’artista sale e scende da una scaletta.
Si tratta di un rapporto cucito
dal tempo, questo tra William Kentridge e Napoli. Nato dalla collaborazione con
la gallerista Lia Rumma nel 1999, è proseguito con le scenografie del
Flauto
magico di Mozart
al Teatro San Carlo nel 2006, e questa presenza in versione tessile e recitata
è un po’ come una prova generale di
The Nose, l’opera di Shostakovich, in
attesa della prima a marzo 2010 alla Metropolitan Opera di New York.