“
La società occidentale crede che tutto accada in linea retta. Ma non è così. La curva del golfo di Napoli è per me un’occasione perfetta per suggerire un nuovo modello di pensiero”. Lapidaria eppure compiuta e ampiamente evocativa la spiegazione di
Lawrence Weiner (New York, 1942; vive a New York e Amsterdam) della genesi della sua incursione partenopea site specific. E nulla vieta di qualificare con i medesimi aggettivi i suoi
statement: “
Oggetti gettati sul golfo di Napoli”, “
mucchi di marmo usato che infrangono le acque del golfo di Napoli”, “
sassi lanciati che rimbalzano sul golfo di Napoli”.
La proposta di un nuovo “disegno intellettivo”, che prenda atto della complessità della vita contro un utopico iper-logicismo, passa per Weiner dall’“enunciazione visiva” di frasi semplici, del tutto anti-metaforiche in partenza, che però generano immagini mentali ed evocazioni personali nel destinatario. L’artista rifiuta una “riproposizione” della realtà
connotata di soggettivo, puntando alla
denotazione di un secondo reale, che fronteggi il fruitore.
Mira alla sua responsabilizzazione, stimolando un’interpretazione che dia senso alla neutra esca linguistica. Mutuando una terminologia jazzistica, tra i concettuali Weiner è più vicino a una modalità espressiva “calda” che non “fredda”.
Diversamente anche dal più astratto
Barry, che ha esposto nella stessa galleria meno di due anni fa, le sue frasi rimandano a un “oltre” rispetto allo spazio espositivo concreto e inserito nel vissuto, a cose e azioni esistenti, di dichiarata dignità oggettuale, implicanti spesso un’idea di movimento o trasformazione. Si pensi ai “sassi lanciati” o alle onde infrante sul “marmo usato”.
Inoltre, il
landscape partenopeo suggerito da Weiner non è unicamente mentale: innegabile è l’impatto visivo, se non rappresentativo almeno evocativo e mimetico, nella linea che accompagna le frasi, trasformandosi persino otticamente in base al contenuto. Traiettoria di lancio per gli “oggetti gettati” e flutto stilizzato per il “marmo usato” che infrange le onde, diviene addirittura orizzontale per il movimento di zattere “che attraversano il golfo”. Per queste concessioni, seppur residuali e sintetiche, dell’analitico al visuale e all’estetico, Weiner sta a
Kosuth come
Kandinsky a
Malevič.
Conferma ne è anche l’agnettiana “geometria psichica” del desiderio e della colpa nelle opere esposte, non a caso, nel più intimo spazio dell’ingresso: sperimentazioni di materiali e manipolazioni più “calde” con carta, matita, piegature, intagli. Influsso delle passioni dalla
Bay of Naples su un autore che, se dichiara che “
un artista è una struttura logica” e di essersi avvicinato all’arte “
per cambiare la struttura logica della società”, ha però sempre lasciato che il contesto esistenziale penetrasse nella sua ricerca. Sostanziandola di vita.