SemplicitĂ , manualitĂ , un pizzico dâironia. A distanza di un anno dalla personale del fratello
Peppe Perone, negli spazi della galleria Scognamiglio è il turno di
Lucio Perone (Napoli, 1972; vive a Rotondi, Avellino), fedele a un concetto di scultura che non contempla la partecipazione di terzi nĂŠ lâutilizzo di elementi pre-fabbricati.
Lâartista sceglie di esporre le proprie
visioni, quelle che danno il titolo alla mostra e a cui è affidato un ruolo fondamentale nel processo creativo. Dice infatti Lucio: â
Quando comincio a lavorare a unâopera è come se entrassi in una stanza con tante porte. Scegliendone una e andando avanti si aprono diverse possibilitĂ , e il progetto prende formaâ. Punto di partenza imprescindibile è il disegno; non è un caso, quindi, che le matite siano un elemento ricorrente, strumento primario per dar forma al pensiero.
Ma la linea a volte non basta. Anzi, â
ingannaâ, sostiene ancora lâartista. CosĂŹ, la trasposizione del risultato grafico nelle tre dimensioni comporta ripensamenti, aggiustamenti, eliminazioni. Câè la luce a modellare gli oggetti, a mostrarli in modo differente. E lâinganno della linea diviene il tema di un lavoro â
Senza titolo, come tutti quelli in mostra- fortemente magrittiano, dove ciò che appare disegnato è invece inciso.
Ceci nâest pas une ligne, per lâappunto. Accostamenti insoliti, paradossali prendono vita in questi quadri scolpiti; piccoli palcoscenici dove appaiono oggetti tratti dallâimmaginario quotidiano, in un rapporto tacitamente conflittuale, seppur mediato dalla convivenza forzata.
Ă il legno a dare sostanza a questi lavori, intagliato con grande cura e precisione, poi ricoperto da uno strato di vernice industriale. Ed è questa la cifra stilistica della scultura di Lucio Perone: lâattenzione riservata a un tipo di procedura artigianale, celata da un rivestimento lucido, impeccabile.
In vetroresina sono invece realizzati i cavalli che attraversano le pareti della galleria, altra
visione che trasforma le mura in specchi dâacqua, permettendo la creazione di un passaggio inesistente. Difficile trovare un senso altro in realizzazioni che sembrano avere il solo scopo di plasmare lâinconsistenza dellâimmaginazione. Eppure, qualche debole input arriva laddove sono allâopera bizzarre silhouette nere, impegnate in azioni dal significato metaforico. Una di queste adagia una livella su un rosso planisfero, dove ai confini in rilievo si aggiungono quelli creati dalle ombre, sempre in nome della forza della tridimensionalitĂ . Ingenuamente, lâomino buono cerca di raddrizzare il mondo, mentre nel cortile della galleria un suo simile attiva un insolito macchinario per acquisire ulteriore conoscenza, estraendo, macinando o pressando quello che appare come un cumulo di carta.
LâillogicitĂ degli accostamenti precedenti lascia il posto a una propria logica, seppur timidamente accennata e non particolarmente incisiva. Quasi ci fosse il timore di esporsi. Meglio insistere su una linea irreale e surreale, per dar voce alle proprie intenzioni. Dâaltronde, le visioni non devono per forza trasformarsi in realtĂ .