Una giovane curatrice, due artisti emergenti, quattro navigati interpreti dell’arte contemporanea: questi gli ingredienti d’una mostra allocata in una chiesa secentesca e che, in tempo di Pentecoste, chiede agli artisti d’interrogarsi sui principali simboli della cristianità, intavolando così un dialogo tra generazioni differenti.
Ciro Vitale costruisce un percorso insieme teorico e sensoriale per veicolare la sua filologica interpretazione del tema: un profumo di rose solletica le narici, rimandando all’usanza medievale di lasciar cadere petali di rose rosse sui fedeli il giorno di Pentecoste. L’orecchio, invece, è teso a rincorrere il sovrapporsi di dodici dialetti diversi, originale interpretazione d’un passo del racconto evangelico che giustifica le origini della festività cristiana.
Il tutto inserito in una visione panteistica del divino che, in forma di luce, si nasconde in ogni cosa, anche nel vecchio mobilio di una sagrestia “dismessa”.
È la doppia simbologia del fuoco il cardine del visionario quanto raffinato intervento di
Pier Paolo Patti: è spirito (santo) creatore, che si dispiega generando un Cristo digitalizzato e, ancora, simbolo di Passione, inscenata nella rappresentazione di un sudario elettronico.
Da principio teofanico, il fuoco diventa chiave di lettura dell’universo stilizzato che abita le sedici lastre combuste di
Luigi Pagano, quasi rispolverando, in questo fuoco strumento e al contempo prodotto del fare artistico, un vecchio mito romantico votato all’esaltazione del
furor creativo in forma di demiurgo.
L’ortodossa adesione alla tematica pentecostale lascia poi spazio a un’indagine di più ampio respiro sulla simbologia cristologica, diventando occasione per un’analisi sul mistero e il valore dell’esistenza nelle sculture di
Luigi Vollaro; analisi che si ripropone in versione materica nella concretezza del
Fossile Metropolitano di
Gerardo Vangone.
Il primo posiziona un grosso seme nello spazio arioso della navata e due più piccoli sull’altare: simbolo di vita, il seme subisce, nel suo percorso esistenziale, metamorfosi determinate dal dubbio e dall’incertezza, le quali possono indurre a una sublimazione della natura umana attraverso la conoscenza; la stessa che, dandosi come luce, riscatta l’embrione di Vangone dal suo stadio di larvale inconsapevolezza del sé.
Non più ascesi della luce ma del corpo, non più conoscenza ma comprensione del divino nel campanile abitato dalle allegorie esoteriche di
Franco Cipriano. Un’opera che chiede di esser attraversata per scoprire le pitture murali; le quali, tra citazioni colte e riferimenti biblici, fisicamente impegnano lo spettatore in una lettura per assaggi della vita di Cristo.
In principio era il Verbo. Ma anche alla fine.