Come immaginare Pascal, Newton e Voltaire in un futuro non troppo lontano? Innanzitutto con fattezze femminili, celate da abiti di un’epoca indefinibile. Quindi in uno scenario post-atomico, che li costringe ad indossare ingombranti maschere antigas. Infine bilingue, perfettamente padroni del latino quanto del francese, tanto da adoperare entrambi in un ibrido linguistico incomprensibile.
Sono solo alcuni dei tanti paradossi che dominano le opere di Wolfe Lenkiewicz (Londra, 1966), alla sua prima esposizione in Italia. Lo stesso film che vede protagonisti i tre filosofi, Desum, si presenta in una veste del tutto originale, proiettato su un inconsueto pallone aerostatico che sovrasta gli ambienti della galleria. E se l’ibrido caratterizza le opere di quest’artista, egli stesso si mostra estremamente versatile, trasformandosi all’occorrenza in costumista, oltre che in regista. Gli abiti da lui ideati trovano infatti posto in galleria al fianco dei disegni. Proprio in questi ultimi si rivela pienamente la contaminazione tra epoche e scenari differenti, con il tratto “tradizionale” a matita che diviene strumento per stravolgere iconografie altrettanto consolidate. L’ascensione della Vergine si trasforma in un planare della stessa sul disastro delle Twin Towers, sovvertendo così non solo il motivo religioso, ma anche l’inflazionata immagine massmediatica dell’attacco aereo. Stesso dicasi per il bombardamento del World Trade Center ad opera di farfalle “terroriste”, le cui linee si confondono tra le polveri alzate dal crollo, lasciando intravedere un uccello che simula l’aereo attentatore. La ricchezza dei particolari, e il ricercato chiaroscuro ottenuto con il gessetto, parlano di antichità, reiterata dall’utilizzo di una carta giapponese con effetto pergamenato.
Ma gli scenari evocano tragedie ben più vicine nel tempo, sommandosi tra loro per un effetto multiplo (è il caso del Titanic galleggiante tra le onnipresenti torri newyorkesi). Emblematic Psychosis è tutto questo: l’accostamento di icone insieme improponibili, discendenza del perturbante freudiano quanto dell’immaginario surrealista. L’elemento onirico fa da spalla ad una realizzazione sempre impeccabile dell’elemento figurativo, come nel caso del Paradiso terrestre costruito su di una triste, spoglia, piattaforma industriale. L’ibrido surrealista diviene ibrido temporale, a cavallo tra rappresentazioni religiose e ambientazioni odierne. Con l’immagine del teschio che si ripete, memento mori dal sapore seicentesco, ma carico di significati attuali.
La vera contaminazione sembra così tra la ratio, incarnata dai filosofi protagonisti del film, e l’irrazionalità pura delle libere associazioni mentali. Entrambe volte a puntare i riflettori sugli avvenimenti contemporanei. Non era in fondo proprio il Candide di Voltaire a farsi beffe di Leibniz e del suo mondo, migliore tra i mondi possibili?
alessandra troncone
mostra visitata il 22 gennaio 2007
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