La stanza più importante del mondo si trova alla periferia della cittadina di Longyearbyen, nell’arcipelago delle Svalbard. Superando un profondo e stretto corridoio che attraversa diversi strati di permafrost, oltre una bassa porta ricoperta di ghiaccio, ci sono 13.000 anni di storia dell’agricoltura. Migliaia di varietà di orzo, riso, grano e altre colture, sono conservate in lunghe e ordinate file di casse provenienti dalle banche di sementi di tutto il mondo. Lettere, numeri e ideogrammi si susseguono con un serrato ritmo grafico che riunisce Cina, Russia, Stati Uniti, Giappone, Siria, Corea del Nord, Sud Africa, Etiopia, Italia. Nello Svalbard Global Seed Vault, questo giardino dell’eden ibernato, le differenze macroscopiche delle culture e delle storie entrano in un relazione giocata sulla scala minima, germinale, del seme, emblema di conquiste scientifiche e coloniali, di squilibri geopolitici e climatici, di avventurosi spostamenti lungo itinerari mai percorsi prima.
Sull’enciclopedia allegorica delle sementi, come rappresentazione storiograficamente determinata del rapporto tra uomo e ambiente, tra artificio e natura, si concentrano gli ultimi lavori di Pedro Neves Marques (Lisbona, 1984), presentati in occasione della sua seconda personale negli spazi espositivi di Umberto Di Marino. Una scelta di continuità per la galleria napoletana, che prosegue lungo il filone dell’analisi critica dei termini del modernismo e del postmodernismo. Infatti, la ricerca dell’artista portoghese, equamente espressa tra produzione saggistica e visiva, negli anni, si è concentrata sui processi di formazione dei fenomeni culturali, sociali e politici dell’epoca contemporanea. Così, per la mostra napoletana, Marques propone un approfondimento sull’ambiguità del semente, nucleo della vita e strumento del potere per controllarla, un organismo immesso nei flussi demografici e di profitto che si intersecano da un capo all’altro del globo. Da questo elemento generativo, l’artista portoghese svolge una trama fittissima ma inquadrabile, perché inserita in un percorso di sintesi che inizia dal primo gradino della conoscenza, dalla chiarezza della nomenclatura, e termina con uno sconfinamento verso gli interessi economici transnazionali, le cui diramazioni sfuggono alla comprensione.
Tutte le opere allestite, serigrafie e video, giocano su questo collage di iperdefinizione e sfumatura che assottiglia la distanza tra supporto e concetto, forma e contenuto, in particolare GMO are a Direct Evolution of Botanical Expeditions to the Colonies. Su superfici opache di lattice biodegradabile, che ondeggiano imponenti e sottili nello spazio espositivo, sono impresse, a inchiostro di soia, un’illustrazione tassonomica della Glycine Max – la soia – presa dai trattati settecenteschi del botanico e presidente della Royal Society Joseph Banks e le pagine dei contratti della Monsanto, deus ex machina delle piantagioni. Lo spazio fisico che separa i supporti, rende evidente e rarefatto, allo stesso tempo, il nesso tra i due ambiti. Tra gli interessi dell’azienda leader mondiale nella produzione di sementi transgeniche e le spedizioni compiute, nei secoli passati, dagli studiosi verso le colonie più esotiche dell’Impero, c’è una ininterrotta relazione di causalità, che ha contribuito a ridisegnare il limite territoriale e percettivo tra il centro e la periferia, orientati secondo le coordinate di una smisurata espansione dell’economia e dei codici. Un video documentario, girato nella regione di Joaçaba, sud del Brasile, mostra una parte dei processi di lavorazione e trasformazione di una piantagione di soia della Monsanto. Come prevedibile, tutt’altro che una passeggiata in campagna, «non è stato semplice entrare negli stabilimenti, sono riuscito a girare queste immagini solo grazie all’aiuto di una guida esperta», ha detto Neves. Mentre sfilano le lunghe distese di campi coltivati a pesticidi, i colori ondulati, carichi della terra smossa che si può toccare solo con sospetto, scorrono alcune righe di testo: «e allora noi chiedemmo che tipo di vita risiedesse in questi semi. Ma anche, pur in disaccordo, come si può imparare a vivere con il nemico?»
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 17 gennaio
Dal 17 gennaio al 22 febbraio 2017
Pedro Neves Marques, Learning to Live with Other Bodies
Galleria Umberto Di Marino
Via Alabardieri, 1 – 80121, Napoli
Orari: dal lunedì al sabato, dalle 15 alle 10. La mattina su appuntamento.
Info: info@galleriaumbertodimarino.it