C’è un processo cui si sottopongono le opere d’arte quando si dice che vengono rivisitate, che è meticoloso e delicato, come un gioco di equilibri in cui è necessario scalfire piano e demolire, specialmente, l’armonia che trasmettono in quanto oggetto completo, finemente concluso. È un complesso origami, quello di Mario Coppola, architetto e designer napoletano che espone per la prima volta negli spazi della Fondazione Plart.
Riguardosa per i materiali più che per l’organicità delle esposizioni, la Fondazione accoglie dunque “Cosmogonie”, a cura di Angela Tecce, con la consueta curiosità fiabesca che sembra riguardare, seppur in modi diversi, tutte le opere che, negli anni, si sono ritrovate in questi spazi. Opere dal gusto infantile, costruzioni volutamente spigolose, gonfie, estreme nella resa che appare come la traccia di un fanciullo o come un divertimento continuativo. Non a caso la personale di Mario Coppola ruota intorno a una Dafne dai tratti davvero esuberanti, una monumentale installazione site-specific che fa del personaggio mitologico in fuga, colto nel momento del fenomeno, cioè in procinto di trasformarsi in albero, una figura quasi estesa, ravvicinata da continui zoom che l’hanno resa indefinita come un caotico ammasso di pixel.
Mario Coppola, Cosmogonie, Fondazione Plart
Ma se la voglia di trasformare e rimuovere i confini colorando oltre gli spazi è tipica dell’infanzia, la ricerca di un senso che inserisca questa esperienza in una logica intellettuale è assolutamente adulta. L’ambizione dell’artista è verosimilmente ambigua, poiché nel subbuglio eversivo di opere che vengono fuori dalle pareti e dal pavimento, Coppola prova a estrarre un senso dalle cose, affibbiando, a questa pratica ludica di avvicinamenti estremi e deformazioni, un compito ben più arduo. L’artista ragiona nei termini di nascita del cosmo, a cui il titolo chiaramente rimanda, un’operazione che, però, si serve dello spazio mitologico come rimando intellettuale, senza prenderne la potenza psicologica, cioè la possibilità di modificare l’organicità del reale al punto da ridurla al caos, capacità questa propria del mito.
Le opere risultano comunque attente a una poetica, frutto di una sorta di biomeccanica che ha tolto empatia alle figure ma vi ha sostituito un sentire che è ancor più condivisibile di una qualunque armonica immagine dalle fattezze umane. È proprio l’aspetto tecnico di queste opere, la forma monolitica e dura, quasi pesante, a dirigere la mente altrove, a un contesto che è precisamente l’opposto di una nascita del cosmo, che ne è anzi la fine o, per meglio dire, quel che sta dopo la fine. Se ne sente, per questo, quasi il clangore, il cigolio di una macchina che ha cessato di funzionare, di cardini non oliati da decenni. Che tutto questo sia poi stato realizzato in PLA (acido polilattico) – una bioplastica ricavata dall’amido vegetale, biodegradabile ed ecologica – e poi stampato in 3d con tecnologia FDM (modellazione a deposizione fusa), non fa altro che confermare l’ambiguità che sta al fondo di questa esposizione e che rende in maniera quasi spontanea la contraddizione dell’avanzo tecnologico che bucando la madre terra, mira a interrogare il cosmo.
Del resto, l’intera struttura del Plart si fonda su questo pendio e su quella naturale incompletezza cui va incontro chi fa i conti con l’ecosostenibile: la radicalità è infatti un trapianto più che una scelta, un progetto tanto invasivo per il corpo da non poter essere mai compiuto davvero fino in fondo e che dunque comporta una sottile, pungente sensazione di aver saltato qualche passaggio. Emerge, alla fine, il disagio di chi non ha aderito all’avanguardia che aveva immaginato e soprattutto la richiesta di un frontespizio valido che possa titolare una nuova epoca. L’epoca di Dafne.
Elvira Buonocore
Mostra visitata il 14 ottobre
Dal 14 ottobre al 22 dicembre
Mario Coppola, Cosmogonie
Fondazione Plart
Via Giuseppe Martucci 48, Napoli
Orari: da martedì a venerdì, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18. Il sabato dalle 10 alle 13