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12
luglio 2010
fino al 23.VIII.2010 Franz West Napoli, Madre
napoli
Sculture come arnesi da vivere e interpretare. Installazioni in cui distendersi e sperimentare. Opere/mobili da utilizzare. Forse, più che una recensione, sarebbero servite “istruzioni per l’uso”...
Franz West (Vienna, 1947) è un architetto della percezione. Scultura,
installazione, collage, design: tutte le etichette in cui si fatica a
organizzare la sua produzione sono nascondimenti concettuali per non ammettere
la verità, ossia che la sola tecnica da lui adoperata è, semplicemente, la plasmazione
del comportamento umano. Col suo corredo di condizionamenti collettivi e
individuali soluzioni creative. Proprio come per i migliori architetti. Perciò
difficilmente descrivibile è la sua personalità, persino da una retrospettiva
rappresentativa, efficace e non scontata come quella del Madre.
La verità è che, per capire West, non basta percorrere le
sale del museo, ma bisognerebbe montarci le tende e spiare nel tempo il
comportamento dei visitatori. Già, perché proprio il modo di agire degli
individui, messi innanzi a bizzarri strumenti onirici e simil-organici,
protetti dall’intimità di una cabina e insufflati dalla promessa narcisistica
di uno specchio, è il vero cuore di un’opera capitale come Specchio in una
cabina con oggetti adattabili (con Michelangelo Pistoletto), detti anche Passstücken o Adaptives: sculture sfidanti i confini tra
formale e informale, opera e vita. Arnesi inanimati divenienti arte solo e non
appena un visitatore li brandisce, adoperandoli come crede.
E allora sì che, complici lo specchio e la poetica di Pistoletto, il fruitore e la vita da lui rappresentata si vedono
parte integrante dell’opera. “Approccio tattile-esperienziale e interazione sono
esigenze primarie di ogni individuo, che la musealizzazione ordinaria non
permette. Non perché le persone non li desiderino, ma perché i musei sono
spesso strutturati così”. Ma non se in mostra c’è Franz West: ed ecco che l’invito a
trasgredire la fruizione contemplativa per modificare integralmente la
percezione dell’opera con l’uso, integrandosi in essa, prosegue nella celebre Sedia
Bellini, induce
alla rilassata esperienza performativo-estetica dei divani di Ordinary
language, istiga
alla liberazione dai costumi reali e museali nel paravento dietro cui
denudarsi, eccita persino alla sperimentazione più intima e libera di Auto
Sex (con Heimo Zobernig), alcova premurosamente ricostruita per l’auto-amore, con tanto di
sedia, specchio e Tre Lampade a luce rossa.
Che illuminano anche l’intuizione che gli oggetti – come l’Armadio
Multiuso – tra
mobilio e arte creati da West altro non sono che trappole tese per renderci
inconsapevolmente, quando li si vive nel quotidiano, parte dell’”auto-teatro”
artistico del titolo. Quello che va in scena, letteralmente trasferendo luoghi
reali nel museo, negli ambienti ricostruiti di Plural, residuo dello studio
dell’artista, e delle Stanze di Wegener.
No, il 2d non poteva proprio bastare a West, come egli
stesso sottolinea commentando gli iniziali collage che aprono la mostra, per lui
soddisfacenti solo per l’ironica effrazione di modelli e tabù, la medesima poi
riportata nei manifesti, nelle sculture pubbliche e nel sipario per l’Opera di
Vienna (visibili in maquette e bozzetti), e per il tripudio coloristico, lo stesso di Group
with cabinet.
Come alla sua arte non basta la contemplazione: basta leggerla, andate al Madre
e usatela.
installazione, collage, design: tutte le etichette in cui si fatica a
organizzare la sua produzione sono nascondimenti concettuali per non ammettere
la verità, ossia che la sola tecnica da lui adoperata è, semplicemente, la plasmazione
del comportamento umano. Col suo corredo di condizionamenti collettivi e
individuali soluzioni creative. Proprio come per i migliori architetti. Perciò
difficilmente descrivibile è la sua personalità, persino da una retrospettiva
rappresentativa, efficace e non scontata come quella del Madre.
La verità è che, per capire West, non basta percorrere le
sale del museo, ma bisognerebbe montarci le tende e spiare nel tempo il
comportamento dei visitatori. Già, perché proprio il modo di agire degli
individui, messi innanzi a bizzarri strumenti onirici e simil-organici,
protetti dall’intimità di una cabina e insufflati dalla promessa narcisistica
di uno specchio, è il vero cuore di un’opera capitale come Specchio in una
cabina con oggetti adattabili (con Michelangelo Pistoletto), detti anche Passstücken o Adaptives: sculture sfidanti i confini tra
formale e informale, opera e vita. Arnesi inanimati divenienti arte solo e non
appena un visitatore li brandisce, adoperandoli come crede.
E allora sì che, complici lo specchio e la poetica di Pistoletto, il fruitore e la vita da lui rappresentata si vedono
parte integrante dell’opera. “Approccio tattile-esperienziale e interazione sono
esigenze primarie di ogni individuo, che la musealizzazione ordinaria non
permette. Non perché le persone non li desiderino, ma perché i musei sono
spesso strutturati così”. Ma non se in mostra c’è Franz West: ed ecco che l’invito a
trasgredire la fruizione contemplativa per modificare integralmente la
percezione dell’opera con l’uso, integrandosi in essa, prosegue nella celebre Sedia
Bellini, induce
alla rilassata esperienza performativo-estetica dei divani di Ordinary
language, istiga
alla liberazione dai costumi reali e museali nel paravento dietro cui
denudarsi, eccita persino alla sperimentazione più intima e libera di Auto
Sex (con Heimo Zobernig), alcova premurosamente ricostruita per l’auto-amore, con tanto di
sedia, specchio e Tre Lampade a luce rossa.
Che illuminano anche l’intuizione che gli oggetti – come l’Armadio
Multiuso – tra
mobilio e arte creati da West altro non sono che trappole tese per renderci
inconsapevolmente, quando li si vive nel quotidiano, parte dell’”auto-teatro”
artistico del titolo. Quello che va in scena, letteralmente trasferendo luoghi
reali nel museo, negli ambienti ricostruiti di Plural, residuo dello studio
dell’artista, e delle Stanze di Wegener.
No, il 2d non poteva proprio bastare a West, come egli
stesso sottolinea commentando gli iniziali collage che aprono la mostra, per lui
soddisfacenti solo per l’ironica effrazione di modelli e tabù, la medesima poi
riportata nei manifesti, nelle sculture pubbliche e nel sipario per l’Opera di
Vienna (visibili in maquette e bozzetti), e per il tripudio coloristico, lo stesso di Group
with cabinet.
Come alla sua arte non basta la contemplazione: basta leggerla, andate al Madre
e usatela.
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dal 15 maggio al 23 agosto 2010
Franz West – Auto-Theatre
a cura di Kasper König,
Katia Baudin, Mario Codognato
MADRe – Museo d’Arte Donna Regina
Via
Settembrini, 79 (zona San Lorenzo) – 80139 Napoli
Orario: da
lunedì a venerdì ore 10-21; sabato e domenica ore 10-24; martedì chiuso
Ingresso:
intero € 7; ridotto € 3,50; lunedì ingresso libero
Catalogo
Electa
Info: tel. +39
08119313016; www.museomadre.it
[exibart]