Chissà se Marilyn occupa un posto tra i miti di
Samantha Magowan (Londra, 1979). Certo è che la nuova scoperta del gallerista Francesco Annarumma sembra mettere in pratica molto bene l’assunto della bionda icona dell’
eterno femminino: non frapporre nulla fra la sensualità della propria pelle nuda e il mondo, se non strumenti di seduzione e ornamento, oggetti utili più a “svestirsi” -o a farsi svestire- che a coprirsi. E che diventano essi stessi simboli di
appeal e femminilità. Così, nei tre scatti tratti dalla serie
100 ways of performing as an object, l’artista rappresenta se stessa o, meglio, le proprie nudità accostate a chincaglierie d’ogni tipo: corolle floreali, bijoux scintillanti,
pochette glitterate e tacchi assassini. Tutti oggetti del desiderio e dell’immaginario muliebre, bisogni indotti dalla naturale civetteria delle figlie di Venere e dagli accorti e lungimiranti strateghi della pubblicità.
La ricerca di Magowan è infatti volta a comprendere quanto la contemporanea corsa all’accumulo di oggetti sia dovuta alla strumentalizzazione consumistica e quanto sia invece connaturata all’umano desiderio di seduzione e possesso.
L’associare sullo stesso piano visivo, oltre che concettuale, il proprio sé più intimo e denudato e il multicolore repertorio degli ornamenti produce non il presumibile effetto di alienazione e reificazione del corpo umano, ma l’inaspettato risultato che gli oggetti si erotizzano e si feticizzano, assorbendo quasi per metonimia il caldo palpito delle contigue nudità. Magowan vince così la scommessa di animare di nuova vita i tanti orpelli introdotti nelle nostre vite dai
battage pubblicitari, agendoli in prima persona anziché esserne agita.
Umbratili per atmosfera e notturni per cromia sono invece i tre
Senza titolo, intriganti e misteriche visioni in cui scorgere poco a poco le sensuali fattezze del corpo digitalmente annerito, su cui con più evidenza risaltano gli oggetti ornamentali, unica brillante macchia di colore squarciante l’oscurità.
Ancor più spinta è la citazione del patinato mondo dei consumi nei dipinti-collage
There’s nothing left to paint #2 e
#5, liberi accostamenti disco-pop di ritagli raffiguranti divi del wrestling o modelle e di sfondi di pittura a tinte acide e fluorescenti. Accattivanti ma con minore personalità rispetto ai
100 ways, che coerentemente travasano la tematica dell’ornamento in un’elegantissima
facies formale dai colori vividi e smaltati, incrostata di una satura e arabescata decorazione tutta giocata in una superficie senza profondità, simile a quella di
Klimt o dei Nabis anche per il decentrato trattamento dello spazio.
Se è vero che la superficie visibile è la pelle della realtà, allora Samantha Magowan accarezza e lambisce i nostri sensi con le sue immagini. Decadentismo per la percezione, lussuria per gli occhi.