Ragione e passione, oblio e sogno. Memoria dell’avvenire e memoria del passato insondabile. Le parole di
Anne e Patrick Poirier (Marsiglia, 1942; Nantes, 1942) raccontano la loro ricerca, razionale e al contempo profondamente poetica, che sonda i meccanismi del pensiero e quelli della percezione sensibile. Gli echi proustiani riverberano lungo le pareti specchiate del
Labirinto della memoria, vero fulcro della mostra. La memoria volontaria rivive nel rovinismo delle opere intitolate
Pozzuoli, piccole calotte craniche presentate come una sorta di città ideale. La memoria involontaria ha invece origine dai sapori e dai profumi dell’infanzia, richiamati in forma verbale sui pannelli interni del labirinto.
L’intera personale è attraversata dal filo del ricordo, che si incarna ora in forme in dissolvenza, ora in un archivio poetico-linguistico ricco di suggestioni. L’incedere del tempo e le stratificazioni del vissuto risiedono nei fossili e nei paesaggi di
Venti milioni di anni a.C., ma anche negli iris appassiti che recano sui petali parole come
sogno,
desiderio,
angoscia. Solchi lasciati dalla memoria, cui è conferito il compito di ricordare il rapporto dell’uomo con le forme naturali. O, meglio, l’appartenenza del genere umano
al mondo naturale.
Antropocentrismo -la forma cerebrale riproposta come contenuto e contenitore- e antropomorfismo s’intrecciano, generando una riflessione che sembra investire tutte le opere in mostra. Così, lo spettatore è chiamato a guardarsi dentro, a specchiarsi in senso reale e metaforico nello stagno dei propri pensieri. Un novello Narciso, che stenta a riconoscersi nel caleidoscopio originato da specchi e parole incise. L’architettura labirintica posta al centro della galleria, anch’essa di forma ellittica, nasce come una sorta di biblioteca ideale, costruita con fragili scaffali linguistici. L’amplificazione visiva generata al suo interno investe il soggetto, quella dei pannelli esterni rimanda al contesto. Il tutto si trasforma dunque in una soglia, intesa come momento di passaggio dal
sé all’
altro da sé.
Ecco dunque che anche il significato della parola
architettura assume un valore intenso e diviene occasione per ritrovare il proprio posto nello scorrere del tempo, per lasciare la propria traccia, così come le rovine del passato. Un’architettura che è anch’essa pratica e poetica, razionale e irrazionale, reale e utopistica. L’architettura che accompagna e custodisce la disseminazione della memoria in tutte le forme dell’esistenza. Preservando dall’oblio il ricordo di ciò che siamo.