Tracce nel futuro è un percorso tracciato da dodici artisti taiwanesi, un sondaggio sull’identità personale e collettiva, quella portata con sé e quella persa lungo il cammino delle generazioni. Taiwan ha infatti un bagaglio storico-culturale pesante e lo ha conservato meglio dei suoi vicini cinesi. L’isola punta sulla declinazione anziché sull’assimilazione. Ma gli artisti di oggi cosa ne traggono? Riescono a superare il peso della tradizione per creare momenti innovativi?
Il primo impatto è con le foto in 3d nei lightbox di
Hung Tunglu. Nella serie
Nirvana si muovono ragazze giocattolo e manga fra elementi tradizionali e spirituali, spazi fantastici e artificiali, chiuse sfere-bozzolo in uno stato di passaggio e distacco. È di
Lin Shu-min l’installazione interattiva
Inner force, che invita due persone a sfidarsi, ma non nelle solite discipline. È una gara di meditazione high-tech che richiede di sedersi e rilassarsi, mentre sul pavimento si trova un’animazione influenzata dalle onde alpha prodotte dal cervello, che prendono vita in forma di fiori di loto. Chi è più rilassato produce più fiori e vince.
Le foto di
Sheu Jer Yu ritraggono luoghi quotidiani e sono timbrate in un copia-incolla computerizzato con le definizioni da dizionario di se stesse,
che ne ri-definiscono tautologicamente ma interrogativamente il ruolo-significato. Figure fiabesche, congelate e riportate al presente, sono le ceramiche-soprammobile di
A-min, mentre le tradizioni continuano nella festa colorata dei pazzeschi dipinti di
Li Jiun-yang, che realizza scene fantastiche ispirate ai racconti popolari.
Un finto sito archeologico è la gigantesca installazione di
Tu Wei-cheng: nelle mura antiche sono inseriti elementi del mondo attuale, catturati solo dagli occhi più attenti. Un’altra immagine reale-irreale è il grande olio su tela di
Huang Sheng-yen, dove una decina di mani intrecciate miscelano dita giovani ad altre storpiate alla E.T. Un incontro impossibile fra entità aliene, tentativo di riunire il presente col passato in un ibrido, inquietante interrogativo. Ancora inganno seducente nell’acrilico-calligrafico di
Li-Ming-tse, con onde bianche che sommergono montagne, o sono le montagne da cui emergono le onde?
We are the world sbilancia la rigida razionalità della decorazione tradizionale cinese in favore dell’ambiguità.
Il film
Factory di
Chen Chieh-jen documenta il ritorno degli ex operai nella fabbrica abbandonata da anni. Sono stati chiamati dall’artista per simulare un impossibile reintegro. L’assenza di qualsiasi audio intensifica la disperazione degli operai impotenti nei confronti dell’accelerato trend politico-economico del proprio Paese. L’installazione su tre schermi di
Lu Mu-jen in una sala quasi ermeticamente chiusa esplora il drammatico incontro-scontro del sé con l’altro. Un corpo si sovrappone con altri replicanti, in una rissa visiva fra la figura e se stessa, mentre il protagonista continua un cammino senza meta apparente. L’io isolato, discordante e moltiplicato, riflette sul dedalo della vita, che sembra scorrere infinitamente ed evocare al contempo una strana fiducia nel (ri)trovare un mitico paradiso perduto.
Così
Tracce nel futuro racconta in mille frammenti colorati un caleidoscopio dove si fondono l’etica-estetica orientale e i riti antichi, i colori delle tradizioni e quelli della tecnologia. Ma, come spesso accade nelle religioni orientali, in cui tutto appare un fluire naturale, un incontro tra passato e futuro sembra avere qui la forza di generare nuovi modelli, nuove tradizioni per il futuro.