Non bisogna affezionarsi troppo agli allestimenti. Perché questi, prima o poi, possono tradire. Specie quando si tratta di far incontrare presente e passato. È successo a Capodimonte, dove lo scorso anno l’ibrido
Omaggio del cinquantenario aveva complessivamente funzionato. Ed è successo, purtroppo, per il progetto concepito – giocoforza a tavolino e a distanza, data la veneranda età –
da e non
suLouise Bourgeois (Parigi, 1911; vive a New York).
Sicché, se chiarezza e semplicità possono essere, come spesso oggi pare, un difetto, l’esposizione nasce col peccato originale di una logica scolastica e lapalissiana, usata per raccordare l’antico a un contemporaneo che è, in ogni caso, già storia. Più difficile ancora percepire la ricercata integrazione senza il supporto di una valida segnaletica, brancolando in una caccia al tesoro che rischia di bypassare tanto le opere disseminate nel museo quanto la parte emotivamente più forte, e suggestiva, della mostra, quella nella Sala Causa, stupenda stanza delle torture dove il circo acrobatico dell’artista dà il meglio di sé nelle sculture sospese, con l’
Arch of hysteria inarcato in mezzo a un ambiente sgombro da seppur nobili “distrazioni”. Ovvero i capolavori custoditi sui due ricchissimi piani della pinacoteca, dove l’itinerario coatto diventa decisamente faticoso. E, data la settorializzazione di fatto dei visitatori, penalizza sia gli appassionati del “nuovo” che quelli del “vecchio”.
Dal canto suo, Capodimonte sacrifica giusto un paio di tele secentesche per far spazio alla “cell”
Peaux de lapins, chiffons. Ferrailles à vendre, abbracciata dalle due versioni dello scorticamento di Marsia, dipinte rispettivamente da
Ribera e
Luca Giordano. L’altra “gabbia”,
The last climb, nel significativo epilogo ascende al Paradiso con una scala elicoidale, circondata da gloriose pale barocche: pezzo, dei due site specific, lucido e azzeccato; così come l’altro, lo stilizzato “rastrello” ispirato alla
Parabola dei ciechi di
Bruegel il Vecchio.
Certo, non è la grande retrospettiva che Capodimonte non avrebbe – anche per ovvi motivi di budget – potuto permettersi, eppure sembra l’unico evento d’arte contemporanea degno d’attenzione (anche mediatica) in una città “
siccome immobile”, per giunta in uno spazio non dedicato. Una mostra dispersiva e un po’ monotona nella scelta dei soggetti (molte, molte
Teste), ma rappresentativa e non elitaria, che in più offre “democraticamente” la possibilità di ammirare un’enorme
Maman in uno dei cortili della reggia.
Ma forse è proprio un percorso così (de)strutturato il più adatto a rispecchiare lo spirito e la carriera di questa donna di multiforme ingegno, intelligentemente presentata senza calcare la mano sulla retorica del “fare al femminile” che, del resto, poco si attaglierebbe alle sue interpretazioni alternative in materia di sessualità e maternità.
Un’artista punto e basta. Estrema, sintetica all’osso o avvolgente, criptica o artigianale, gigantesca o minuscola. Capace di forgiare la più spartana delle croci, di cucire una testa imbottita come un guanciale, di partorire immani e terrificanti ragni in bronzo, disseppellendo in chi guarda l’ormai vituperato e negletto aggettivo
bello (magari con tanto di punto esclamativo). Un’artista completa, che ha detto di sé: “
Sono imperfetta, ma non mi manca niente”. Alla sua mostra, idem.
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Lo so che adesso il popolo di commentatori si sciogliera´ dallémozione e come sempre riempira´di lodi la Pepe per la qualita´della recensione. Io invece non sono di questi. Anzi, sottolineo invece una volonta´da parte della giornalista del destrosissimo quotidiano ROMA di voler, anche se con toni bassi, demolire e trovare sempre il difetto in tutto cio´che vede e che viene proposto dalle istituzioni. Si abbatte e non si costruisce, questo e´tipico del reazionario e di chi con la contemporaneita´fa un po´a cazzotti
Non me ne
aldo, per favore, sappiamo tutti che 'petrella' a napoli è un cognome bassolinianamente 'pesante'... e chissà che anche tu non sia gravato da tale fardello. ma al di là delle appartenenze esistono le persone (anche se tale banale considerazione, caro il mio affezionato lettore, varrebbe anche per me). purtroppo, la capacità di comprensione di un testo viene spesso inficiata dai paraocchi. sarà per questo che non hai messo l'elisione al posto giusto e non hai terminato il commento? ortodossia è ortografia
Ho visitato la mostra ai primi di novembre. L'ho trovata molto interessante, anche per ciò che riguarda l'installazione. Anzi, direi che il concetto di continuità passato-presente-futuro sia proprio l'aspetto più coinvolgente. Numerosi i temi affrontati con maestria e tenerezza avvolgente durante la lunghissima carriera della Bourgeois: l'abbandono non è solo foriero di sofferenza, ma è anche il momento della rinascita del lavoro interiore, del ritiro che prelude all'espansione in un processo dinamico e continuo. La B. ne è ossessionata, non riuscendo ad accettare, talvolta, la tragica condizione di solitudine che accompagna l'umanità nel suo cammino. Ciò la rende animata da un profondo senso di umanità espresso mirabilmente nella sua opera che oscilla dalle riminiscenze freudiane del mito di 'Elettra' agli slanci istintuali che esprimono gioia, sofferenza, dolore e travaglio, quello della madre amorosa e allo stesso tempo carnefice materializzata nei giganteschi ragni. E' l'etica delle emozioni, delle polarità contrastanti dell'eros-tanatos freudiano (il nido-ragno è uguale a protezione-violenza, repulsione-attrazione). La compenetrazione presente-passato, uomo-ambiente è ancor più evidente nella scelta degli allestitori di inserire i minuscoli oggetti dell'artista (TOPIARY, GIVE OR TAKE ad esempio) tra le opere rare della collezione permante Farnese, si sente l'eco di un discorso che non è giammai interrotto da brusche pause, le opere dell'artista in un dialogo continuo con il passato quasi non si percepisce la distanza (forse perchè non c'è). E' straordinario notare che l'opera della B. s'inserisce naturalmente in un percorso avviato in altri tempi e da altri uomini.