Ama le differenze: non è una canzone pacifista degli anni ‘70,
Love Difference, ma l’installazione che
Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) ha allestito in piazza del Plebiscito e concepito in occasione della 50esima Biennale di Venezia, nel 2003.
In origine c’era un tavolo dalla superficie specchiante, circondato da cuscini e sedie dei Paesi mediterranei; adesso le silhouette slegate dall’Africa mediterranea ai contorni frastagliati di Croazia e Albania si materializzano nello spessore dell’alluminio arancione (60 cm circa) e della superficie riflettente del “
bassorilievo orizzontale” -stando alle parole di Pistoletto- insieme alle sedici scritte al neon che traducono il concetto di rispetto dei popoli e di coesione delle diverse culture nelle lingue dell’Europa unita, poste tra le colonne dell’emiciclo di San Francesco da Paola.
Una pangea culturale di tolleranza fra religioni, abitudini e tradizioni differenti desiderata dall’artista piemontese che, se appuntabile in quanto riarragiamento del lavoro precedente, si assimila però alla funzione di arte educatrice per tutti, visto che il pubblico e
in primis i bambini hanno iniziato a saltare tra Spagna e Marocco e a correre indisturbati dentro la foresta Nera già prima dell’inaugurazione. Una destinazione probabile per l’installazione “
a Villa Favorita a Ercolano”, anticipa Bassolino, presidente della Regione e della Fondazione Donnaregina, mentre il resto delle opere dal carattere ecumenico e pacifista si vede al Madre.
Un corridoio di specchi introduce al
Luogo di raccoglimento, sottotitolo
multiconfessionale e laico: un cubo di specchi con la facciata rivolta verso l’interno -pensato nel 1966- a cui oggi, idealmente, si collegano i simboli delle religioni del mondo. Essenzialità quasi ascetica e tanta luce per evidenziare la Tavole della Legge ebraica, il Cristo, il Fiore di loto buddista, un tappeto islamico per pregare verso La Mecca. E un altare vuoto,
open space per una religiosità laica o per sottolineare l’incapacità di generare nuove fedi che portino effettivamente la salvezza?
L’infinito del mondo e il finito dell’uomo si ritrovano negli incroci d’acciaio de
Il Terzo Paradiso, percorso ludico per sperare in cambiamenti seri, perché le bocce d’alluminio che corrono su e giù nella pista dovrebbero ricongiungere il primo paradiso -il mondo naturale- con il secondo -artificiale e sterminatore dell’uomo- in questo terzo, concepito come un ventre gravido di una vivibilità sana, in cui pulsa anche una vena ecologista.
Un passo indietro nella produzione di Pistoletto si compie con la
Venere degli Stracci del 1967,
masterpiece che risalta nel vano d’altare della chiesa di Donnaregina vecchia (inglobata nel percorso del Madre). Un urlo dell’Arte povera contro il sistema consumistico ed edonistico dell’epoca, che inevitabilmente si riattualizza nella sua lettura, se aggiungiamo al cumulo davanti alla Venere callipigia gli “stracci” che soffocano Napoli, i rifiuti inevitabilmente prodotti dalla città. Senza soluzioni al problema, non ci resta che contemplarlo.
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una mostra brutta e ridicola. togliete quella pista Polistyl piena d'acqua piovana dal cortile del museo che ci si becca la malaria, regalate quelle palle di domopak ad Ivrea per farci la battaglia di Carnevale, cedete il 'Multiconfessionale' al Grande Fratello o ad una scuola elementare sui Quartieri e, soprattutto, togliete la Venere di Pugliano dalla chiesa di Donnaregina. dopodiché smontate quelle scritte al neon dal colonnato di piazza del Plebiscito che sembrano quelle di una paninoteca itinerante alla Ferrovia e consegnate all'oblio quell'installazione atrocemente banale. e, per favore, il prossimo anno o ci risparmiate questa tortura o chiamate un artista.
Smielato, ripetitivo, pretenzioso, consolatorio:
i suoi difetti sono gli stessi di tanta scultura monumentale dell'800. Decisamente sopravvalutato .