Ipnotiche, magnetiche, criptiche. Ricche di dettagli, colti solo da uno sguardo attento, ravvicinato. Amorevole. È sorprendente come la descrizione delle opere delle artiste scelte per raccontare l’immaginario femminile, spesso incomprensibile al maschile, si riferisca bene anche all’universo rappresentato, alle donne. Segno che si è centrato il bersaglio, anche nella coerenza fra stile e significato.
Riflettere sul femminile produce spesso in questi lavori un’ibridazione col maschile, personaggi di genere ambiguo: sono lontani i tempi in cui l’identità muliebre non poteva costruirsi a prescindere da rigidi ruoli e stereotipi. Ma la viscerale partecipazione alle tematiche relazionali e sessuali dimostra come una maggiore fluidità identitaria non annulli l’importanza per le donne della sfera affettiva.
A chiarire subito come amore sia spesso crudeltà ci pensa
Barbara Brugola, che accoglie il visitatore con la scioccante spietatezza e slealtà dei suoi amanti/scheletri, dichiarantisi amore con la motosega dietro la schiena, per poi crocifiggere o sventrare il partner,
in un gioco al massacro in cui, un po’ per realismo psicologico e un po’ per
politically correct, né all’uomo né alla donna è possibile assegnare la palma di “cattivo”. Di fronte, la “ripulita” falsa ingenuità -stigmatizzata dall’allestimento, in cui i disegni sono appesi con mollette come panni puliti- di personaggi/animali inscena un’ossessiva e morbosa sessualità. Tra delicate trasparenze e pastose stesure, toni sanguigni e tinte fredde, in un sapiente dialogo di assorbimenti e affioramenti con lo sfondo, le opere di Brugola visualizzano anche cromaticamente la compresenza di amore e odio.
Anche
Rita Casdia affida a mutanti uomo/donna -uno dei quali plasmato come ironica piccola scultura “concettualizzata” da un pistolettiano supporto riflettente- un’alternanza di struggenti entusiasmi e dolori, però di più sottile e psicanalitico intimismo. Quasi classiche nell’euritmica gestione dei pieni e dei vuoti, enfatizzata dalla disposizione modulare, le opere guadagnano con l’essenzialità del tratto e del colore, appena impreziosito da iridescenze glitterate, un’eleganza di luminoso ed esatto nitore.
Contrastante è la pennellata corposa e la sporca stesura di
Marzia Dalfini, che sottolinea
a contrario la delicatezza della desolata ironia con la matericità del supporto cartonato e con un tratto quasi
brut.
Opposta è la virtuosistica precisione di
Claudia Dallagiovanna, che ripropone antiche tecniche ceramiche ma su acciaio. Così misteriosi e affascinanti sono i suoi oggetti e piante surreali -su sfondi che riprendono motivi tipici della ceramica, trasferendo a livello di rappresentazione una precisa scelta di produzione- da risultare quasi personificati: esseri di indecifrabile attrazione. Proprio come a volte le donne agli occhi maschili.